Felice RIVA
"Felicino"

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(Archivio Magliarossonera.it)
  Felice RIVA

Nato il 15.06.1935 a Legnano (MI), † il 26.06.2017 a Forte dei Marmi (LU)

Dirigente e Presidente

DA DIRIGENTE:

Stagioni al Milan: 1, 1962-63

DA PRESIDENTE:

Stagioni al Milan: 3, dal 1963 all'8 ottobre 1965

Soprannome: “Felicino”

Palmares rossonero: -




Dal sito www.repubblica.it
19 aprile 1984 - di Leonardo Coen

RIVA, L'EX RE DEL COTONE ORA E' CITTADINO LIBANESE, I GIUDICI LO ASSOLVONO
MILANO - Fino a ieri non lo sapeva nessuno, tranne gli avvocati e i parenti stretti: ma il biondo Felice Riva, detto Felicino, ragioniere (sia pure a prezzo di faticosi studi), ex consigliere delegato e presidente del Cotonificio Vallesusa, ex presidente del Milan Football and Cricket club, protagonista di uno dei primi scandali finanziari che negli anni sessanta misero a soqquadro la Capitale morale, di milanese ha ormai solo l'accento. Perchè il rag. Felice Riva, simbolo quasi parodistico dell' industriale lombardo degli anni del boom, è un cittadino libanese, costretto all' esilio per via della guerra civile. Che Felicino sia cittadino della agitata e sfortunata repubblica mediterranea lo ha stabilito ieri la quarta sezione del tribunale penale di Milano. E così ieri il passaporto "nuovo" lo ha salvato da una probabile condanna per infrazione valutaria: se l'è cavata perchè i giudici lo hanno ritenuto "non punibile" in quanto cittadino straniero. Felice Riva era stato rinviato a giudizio perchè, essendo possessore all' estero, di un pacchetto di azioni del valore di un miliardo di lire non aveva provveduto al rientro dei titoli entro i termini fissati dalla legge. Ma ieri i giudici lo hanno dovuto dichiararlo non punibile in quanto dal 1974, due anni prima che la normativa sul rientro dei capitali entrasse in vigore, aveva in tasca il passaporto del Libano. L'ex re del cotone era fuggito a Beirut per evitare sei anni di carcere per bancarotta e ricorso abusivo al credito.
L'industriale era già stato arrestato a Milano la sera del 4 febbraio 1969 all' uscita di un cinema del centro. Ma la Cassazione annullò il mandato di cattura per vizio di forma. Invece di andare in tribunale e rispondere dei suoi reati (il passivo del crack era stato valutato nel '65 ad oltre 46 miliardi di lire e 8 mila lavoratori restarono a casa), Felicino preferì la strada della fuga. Nizza, Parigi, Atene, infine Beirut. Tanto, non se la filava via a mani vuote: i quattrini esportati non mancavano e - come si è visto - nemmeno le azioni. Capitali legalmente esportati. Ma la legge cambiò: chi aveva titoli, azioni e depositi in contanti all'estero doveva riportarli in Italia. Riva non ci pensò nemmeno un minuto: di rientro non se ne parlò affatto. Era già diventato cittadino libanese. Certo, non sono state tutte rose e fiori gli undici anni di soggiorno in Libano per il nostro ragioniere in fuga: a Beirut venne incarcerato per cinquanta giorni. La moglie Luisella Stabile lo abbandonò dopo un anno di vita in piscina e nelle hall dei grandi alberghi libanesi. In Italia il suo nome era additato a pubblico disprezzo, vita esemplare di un arrogante "tycoon", tipico rappresentante di quella categoria dei "cutunat", i cotonieri esibizionisti e disinvolti, ingombranti e volgari. Quando era scappato, aveva lasciato un impero industriale in dissesto. Lo aveva ereditato alla morte del padre Giulio, uno che si era fatto da sè e che aveva vissuto da protagonista PAGE 0 gli anni d' oro della Milano "capitale morale ed economica d' Italia". Lo chiamavano il "mangiafuoco della Borsa". Felicino, invece, era soltanto ambizioso.
Al momento del trapasso fratello e sorella lo denunciarono per sottrazione di gioielli, sottrazione di eredità e furto. Beghe di famiglia, nero anticipo di quello che sarebbe stato il più grosso crack finanziario ed industriale degli anni Sessanta. Le fabbriche agonizzavano e lui se la passava a Forte dei Marmi sullo yacht e i tre motoscafi, i suoi operai che da bambino lo avevano chiamato "figlio del sole" perchè era bello e biondo ora gli buttavano sul palco della Scala volantini che non lasciavano perplessità: "Rag. Felice Riva, il tuo posto non è alla Scala, è a San Vittore". Sul proscenio, "la Forza del destino"... E poi, il ritorno in patria. Misterioso, oggi, per via del passaporto libanese. Siamo nel 1982. Nel Libano infuria la guerra. I grandi intoccabili alberghi del lungomare di Beirut cominciano ad essere bombardati. In Italia, grazie a condoni e amnistie, il curriculum giudiziario di Riva si riduce a zero. La questura milanese concede il nulla osta per il rilascio del passaporto (così si legge nelle cronache di quel maggio) su sollecitazione dell' ambasciata italiana di Beirut. Il passaporto italiano che Riva aveva al momento della fuga è infatti scaduto ed è privo di validità. Per riottenerlo, si disse, Riva si era rivolto all'ambasciata. Perchè, se in tasca aveva fin dal 1974 un legittimo passaporto libanese?




Dal sito www.ilmessaggero.caltanet.it

DA FELICE RIVA A CIARRAPICO QUANTI GUAI CON LA GIUSTIZIA
ROMA - In principio fu Felice Riva. Erano gli anni '60 e l'allora presidente del Milan fuggì in Libano per una "semplice bancarotta". L'ultimo presidente in ordine di tempo ad avere guai con la giustizia era stato Vittorio Cecchi Gori. Prima di lui si ricordano: Farina e Felice Colombo, Borsano e Pianelli, e poi Casillo, Chiampan, Ciarrapico, Corbelli, Cragnotti ed anche Delle Carbonare, Ferlaino e Goveani. Negli anni '80 Giussy Farina (presidente del Milan) venne processato e condannato a quattro anni di reclusione per aver accantonato fondi neri per giocatori e tecnici. Anche Orfeo Pianelli (Torino) fu condannato nell'87 a 6 anni e mezzo per bancarotta in seguito al fallimento del suo gruppo. Nel '91 a Gian Mauro Borsano ricevette un avviso di garanzia per il crac della sua finanziaria.
Infine tre anni più tardi Roberto Goveani fu arrestato per concorso in bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e appropriazione indebita. Nell'ottobre '95, Sergio Cragnotti (patron della Lazio) fu indagato per le ipotesi di falso in bilancio e frode fiscale. Due anni dopo il rinvio a giudizio per presunto falso in bilancio per la costruzione del centro sportivo di Formello. Giuseppe Ciarrapico (allora presidente della Roma) fu condannato nel '92 per il crack dell'Ambrosiano e l'anno successivo per la vendita all'Italfin 80 delle società casina Valadier e Berardo.




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Permesso di soggiorno in Brasile, anno 1953
(per gentile concessione di Ivano Piermarini)



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Il Presidente del Milan Felice Riva
arriva alla sede del Milan, 1963-64
(Archivio Magliarossonera.it)


(Archivio Magliarossonera.it)



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Felice Riva e Mino Spadacini
(by Maria Riva Christiansen - facebook)
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(Archivio Magliarossonera.it)



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29 settembre 1963, Milanello, il Presidente Felice Riva stringe la mano a Giorgio Ghezzi, al suo rientro in squadra.
A destra, mani sui fianchi, il vicepresidente Mino Spadacini discute con un dirigente rossonero
(by Maria Riva Christiansen)



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Felice Riva e Toni Bellocchio, 1963-64
(per gentile concessione di Antonella Bellocchio)
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Toni Bellocchio stringe la mano a Felice Riva, Andrea Rizzoli
(di spalle) e Giangerolamo "Mimmo" Carraro, stagione 1963-64
(per gentile concessione di Antonella Bellocchio)



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(by Maria Riva Christiansen)





(Archivio Magliarossonera.it)


Primo numero di "Forza Milan!", novembre 1963



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(da "MilanInter" del 30 dicembre 1963)
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(da "MilanInter" del 10 febbraio 1964)



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Primi anni '60, Felicino Riva con la propria famiglia a Forte dei Marmi per le vacanze
(by Maria Riva Christiansen - facebook)



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Felice Riva a Milanello, 1964
(by Maria Riva Christiansen - facebook)
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(by Maria Riva Christiansen - facebook)



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Gianni Agnelli, Dino Fabbri e Felice Riva Anni '60
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15 novembre 1964, Felice Riva va ad assistere a Milan vs Inter 3-0



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(dal "Corriere della Sera" del 27 dicembre 1964)



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(dal libro "Giallo, rosso e nero" di Mario Bardi (1964),
per gentile concessione di Riccardo Gaggero)
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(da "MilanInter" dell'11 gennaio 1965)



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10 ottobre 1965, Milan vs Napoli 4-1,
nella polemica Riva-Rizzoli, a San Siro i tifosi rossoneri si schierano apertamente a favore di Andrea Rizzoli



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(da "Il Calcio Illustrato", 1965-66)



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(dal libro "L'Italia del 20° Secolo", by Renato Orsingher)
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(by Maria Riva Christiansen - facebook)



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Articolo de "L'Europeo" del 6 marzo 1969




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(by Maria Riva Christiansen - facebook)
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Articolo de "La Stampa" del 1° giugno 1977



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Felice Riva con la moglie e la figlia Maria Riva Christiansen, aprile 2017
(by Maria Riva Christiansen - facebook)



Dal sito www.gazzetta.it
27 giugno 2017

MILAN, È MORTO FELICE RIVA, "IL BIONDINO". FU PRESIDENTE DOPO RIZZOLI DAL '63 AL '65
Simbolo dell'Italia anni Sessanta, tra boom economico e jet set, dovette emigrare all'estero dopo il fallimento del Cotonificio Vallesusa e i guai giudiziari per bancarotta fraudolenta
È morto Felice Riva, tra gli uomini simbolo dell'Italia anni Sessanta e presidente del Milan dal 1963 al 1965. Aveva a 82 anni ed era ricoverato all'ospedale Versilia di Lido di Camaiore. Alto, biondo, amato dalle donne, Felicino Riva fu protagonista del boom economico del Dopoguerra e del jet set internazionale. Aveva ereditato dal padre Giulio il Cotonificio Vallesusa, azienda lombarda che contava quasi 15 mila dipendenti, e nel pieno della sua ascesa divenne presidente del Milan nel 1963, succedendo ad Andrea Rizzoli. Era il Milan di Rivera e Lodetti, Altafini e Amarildo. Riva mantenne la carica fino al 1965, quando dovette lasciarla nelle mani della famiglia Carraro.
CRAC ED ESILIO - Il declino fu repentino e clamoroso, con le operazioni finanziarie andate male, il fallimento dell'azienda (8mila operai a casa) e i guai giudiziari per bancarotta fraudolenta. Con davanti lo spettro del carcere, Felice Riva nel 1969 abbandonò l'Italia vivendo a Nizza, Parigi, Atene e infine Beirut. Nel 1982 il rientro in patria.




Dal sito www.corriere.it
27 giugno 2017

MORTO (DIMENTICATO) FELICINO RIVA. INDUSTRIALE IN FUGA E PRESIDENTE DEL MILAN
Di lui, che fu presidente del Milan, si sono ricordati solo i «rivali» della famiglia Moratti e pochi altri. E' morto due giorni fa, dimenticato dai più Felice Riva, detto «Felicino», che a metà degli anni '60 aveva Milano ai suoi piedi ma che bruciò tutto in spericolate operazioni finanziarie che lo fecero passare prima per il carcere (per poco) e poi per mezzo Medio Oriente in fuga da un mandato di cattura internazionale. Felice Riva ereditò dal padre morto all'improvviso il gruppo tessile Vallesusa, uno dei simboli del boom economico italiano: 30 stabilimenti e 15mila dipendenti. Cinque anni più tardi l'intero impero economico di Felicino si era volatilizzato, compreso il Milan - quello di Rivera, Altafini e della prima Coppa Campioni conquistata a Wembley - che Felicino aveva acquistato dalla famiglia Rizzoli. Aveva 82 anni: la morte di uno dei personaggi più in vista della Milano del boom, è stata ricordata da appena 6 necrologi sul Corriere, compresi quelli della famiglia e quelli dei Moratti.
Nella Milano degli anni ruggenti - Felice Riva venne catapultato di colpo ai vertici dell'azienda di famiglia: era il 1960 quando il padre morì all'improvviso durante un banale intervento di appendicectomia e lui, il «biondino», diplomatosi al collegio dei gesuiti «Leone XIII», si trovò in mano le chiavi di un impero industriale. Erano gli anni in cui Milano era in cima al mondo, anni in cui niente sembrava impossibile, se avevi la fortuna o la capacità di fare soldi. Felicino era uno che non nascondeva la ricchezza, stava sulla cresta dell'onda in senso letterale, solcando il mare in motoscafo e anche metaforicamente. Spendeva, ostentava, faceva parte di un mondo dorato e lo rivendicava come un merito e come tanti della sua generazione e della sua condizione sociale; e per non essere secondo a nessuno aveva acquistato il Milan nel 1963. Ma nella Milano capitale economica e morale d'Italia, i passi falsi non venivano perdonati.
Il crac, il carcere, la fuga - Nel 1965, dopo una serie di investimenti finiti rovinosamente, il gruppo Vallesusa viene dichiarato fallito: gli stabilimenti chiudono e 8mila operai si trovano dalla sera alla mattina in mezzo a una strada; il tribunale accerterà un «buco» di 46 miliardi di lire, un'enormità per l'epoca. Nel 1969 Riva viene condannato a 4 anni di carcere per bancarotta fraudolenta: lo arrestano una sera all'uscita di un cinema in centro a Milano , poco prima i suoi dipendenti, a una serata alla Scala, gli avevano lanciato contro volantini dicendogli a brutto muso che il suo posto era a san Vittore. Ma dietro le sbarre il «biondino» ci resta pochi giorni: il mandato di cattura viene annullato per un vizio di forma e lui capisce che Milano non è più il suo posto. Fugge all'estero: Nizza, Parigi, Atene sono le sue tappe fino a quando si stabilisce in Libano, allora la «Svizzera d'Oriente»; si rifarà una vita a Beirut, grazie ai capitali esportati.
La seconda vita a Beirut - Sarà un «esilio dorato» ma punteggiato anche da momenti duri: 50 giorni trascorsi in carcere anche in Libano, la separazione dalla moglie, la giustizia e i creditori pronti a balzargli addosso. In più all'inizio degli anni '80 il vento cambia anche a Beirut e stavolta sono venti di guerra. La capitale libanese diventa un campo di battaglia, gli hotel e le piscine tra i quali Riva aveva vissuto finiscono sbriciolati dalle bombe. L'ex industriale fa così ritorno in Italia nel 1982: gli indulti, le amnistie e la cittadinanza libanese hanno fatto evaporare tutti i conti con i tribunali, nessuno lo cercherà più. Felice Riva si ritira a vivere a Forte dei Marmi, avrà rapporti stretti solo con i figli (Raffaella è musicista, ex componente della band Gruppo Italiano e collaboratrice di Gianna Nannini). E in Versilia Riva si è spento per sempre, due giorni fa.
Il cordoglio del Milan - Nel pomeriggio, sul sito ufficiale del Milan è comparso il messaggio di condoglianze del club alla famiglia Riva, accompagnato da una succinta biografia del personaggio: «E' stato il primo presidente del Milan dopo Wembley, dopo la vittoria della coppa Campioni contro il Benfica». Allora la sede della società era in via Serbelloni . «Le cronache lo ricordano alto, biondo, affascinante e milanista - prosegue il messaggio - anche se purtroppo al centro di problemi finanziari che lo portarono a vivere in Libano lasciando comunque il Milan in buone mani. La memoria storica rossonera non dimentica l'ex presidente e tutti i rossoneri si stringono al dolore della famiglia».




Biografia a cura di Bruno Mincarini

FELICE RIVA: TROPPO PRESTO PER "IL FIGLIO DEL SOLE"
Chiamato così per via dei suoi capelli biondi,a 25 anni eredita dal padre il Cotonificio Valle di Susa, un fiorente impero economico di 14 stabilimenti che portò in 5 anni al fallimento.Troppo giovane per responsabilità così grandi, ai libri contabili preferiva le belle donne (Luisella Riva la sua prima moglie donna bellissima),le auto di lusso e le barche. Successe nel luglio del 1963 ad Andrea Rizzoli, trovando una squadra campione d'Europa ma orfana dell'allenatore Rocco emigrato a Torino. Ma lui,a dir il vero, non si perse di coraggio e portò al Milan l'allenatore argentino Luis Carniglia ed il vice Pelè" Amarildo che aveva fatto faville ai campionati del mondo del 1962. Le premesse erano buone ma di calcio ne capiva poco al pari dei registi contabili del suo cotonificio che fallì il 5 Ottobre 1965, lasciando 8000 operai sul lastrico. Le difficoltà economiche si ripercossero sulla squadra sotto forma di stipendi pagati in ritardo, premi partita non pagati, o contratti che non si rinnovavano. Emblematico fu il caso di Altafini che nel settembre del 1964 se ne tornò in Brasile per il mancato rinnovo. Si creò un progressivo distacco tra giocatori e dirigenza che influì sul rendimento della squadra, impedendole di raggiungere quei traguardi che pur erano nelle sue grandi possibilità. 8 Ottobre del 1965, una cordata di consiglieri milanisti, capitanata dall'avvocato Federico Sordillo in veste di reggente, rilevò la fideiussione bancaria di 500 milioni del "figlio del sole" e Riva si dimise. I bilanci falsificati del cotonificio e le valute esportate all'estero, gli valsero una condanna per bancarotta fraudolenta, e la sera del 4 febbraio 1969 fu arrestato all'uscita di un cinema in Piazza San Babila a Milano. Ma in carcere ci rimase solo 20 giorni, per un vizio di forma del mandato di cattura. Rimesso in libertà, non ci pensò due volte e scappò in Libano con famiglia e soldi. Resta un mistero sul perché non gli fu ritirato il passaporto al momento della cattura. All'inizio la "nuova vita" libanese non fu facile, trascorse 50 giorni in prigione e si separò dalla moglie, ma poi riprese a fare la vita lussuosa che aveva interrotto a Milano tra agi e belle donne. Con una di queste, una hostess norvegese - Vigdis Christiansen, si risposerà prima di tornare in Italia proprio il giorno del suo compleanno, il 15 Giugno del 1982. La sua cittadinanza libanese lo salverà dall'accusa di illecita esportazione di capitali all'estero. Si stabilirà in Versilia, a Forte dei Marmi, dove morirà a 82 anni, alquanto tristemente dimenticato. Della vicenda narrata, il compianto Rino Gaetano ne fa cenno nella sua canzone "Ma il cielo è sempre più blù" con la strofa "chi parte per Beruit e ha in tasca un miliardo". Inviso ai più, personalmente, lo ritengo un personaggio immaturo capace di comportamenti contrastanti. Quando il Milan tornò pesto e malconcio dal "furto" di Rio de Janeiro del 1963 non esitò a dare il premio partita di 10 milioni alla squadra, pur se avevano perso la coppa Intercontinentale. Ma fu irremovibile nel 1964 a negare l'aumento di ingaggio ad Altafini, lasciandolo partire per il Brasile, salvo "commuoversi" per gli auguri di Natale che il brasiliano gli mandò in cartolina, facendolo ritornare per poi litigare con Viani. Pianse come un bambino la domenica che Bruno Mora si ruppe la gamba, e se ne andò tranquillamente al cinema con un mandato di arresto sulla testa nel 1969. Sarò un sentimentale ma io credo che il "figlio del sole" fosse solo un ingenuo sprovveduto, troppo presto chiamato a responsabilità pìù gradi della sua giovane età.




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Collage dedicato a Felice Riva



Dal sito www.acmilan.com
27 giugno 2017

FELICINO RIVA: IL CORDOGLIO DEL MILAN
L'ex presidente rossonero si è spento all'età di 82 anni
Felice Riva è stato il primo presidente del Milan dopo Wembley, dopo la prima vittoria della Coppa dei Campioni da parte di una squadra italiana nel 1963 contro il Benfica. Successore dello storico presidente Andrea Rizzoli, Felice Giulio Riva, noto anche come Felicino, è stato il presidente degli anni in cui la sede rossonera era in via Serbelloni, pieno centro di Milano, in corso Venezia. È stato il presidente di Rivera e di Lodetti, di Altafini e di Amarildo. Le cronache lo ricordano alto, biondo, affascinante, milanista, anche se purtroppo al centro di problemi finanziari che lo portarono a vivere in Libano lasciando il Milan comunque in buone mani, quelle della famiglia Carraro. Giudicato non punibile dal Tribunale di Milano, l'ex presidente rossonero Felicino Riva è mancato pochi giorni dopo aver compiuto, lo scorso 15 giugno, 82 anni.
La memoria storica rossonera non dimentica l'ex presidente del Club e tutti i rossoneri si stringono al dolore della famiglia nel momento della sua scomparsa.




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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 28 giugno 2017)



di Bruno Mincarini
26 giugno 2021

26 GIUGNO 2017 - 26 GIUGNO 2021, QUARTO ANNIVERSARIO DELLA SCOMPARSA DI FELICE RIVA, PRESIDENTE DEL MILAN DAL 1963 ALL'8 OTTOBRE 1965 - Bruno Mincarini ne ha tracciato un bel ritratto che andiamo a condividere
"Il 26 Giugno del 2017 ci lasciava Felice Riva, uno dei più giovani presidenti della storia milanista. Fu l'unico consigliere rossonero ad avanzare la sua candidatura, sborsando i quattrini necessari quando il presidente Andrea Rizzolli -nel 1963- decise di lasciare la Società. Rilevò il Milan nel suo momento migliore (la squadra si era laureata da poco Campione d'Europa a Wembley, n.d.l.) ma purtroppo anche nel momento peggiore del suo cotonificio a causa della crisi del mercato tessile che stava avanzando. Le due situazioni finirono per sovrapporsi, condizionando la sua gestione rossonera. Giovane e ambizioso, la sua presidenza si protrasse fino a quando durò il suo cotonificio in Valle Susa -che nel 1965 fallì- e due giorni dopo si dimise dalla Società; ciò nonostante, non lesinò sforzi economici durante la sua presidenza per portare in squadra fuoriclasse del calibro di Amarlido, Schnellinger e Sormani. Tra i più giovani presidenti di calcio, fu il primo ad inaugurare lo storico mensile rossonero "Forza Milan!" -con la sua foto in prima di copertina- nel novembre del 1963. Sarebbe stato anche il primo presidente italiano di una squadra di calcio a vincere la coppa del mondo se nella finale con il Santos a Rio De Janeiro i rossoneri non si fossero imbattuti nell'arbitro corrotto Brozzi che regalò la coppa ai brasiliani. Nel 1964 a S.Siro, in Coppa dei Campioni, in rimonta per 2 a 0 contro il Real Madrid, l'arbitro Dienst negò al Milan due evidenti rigori che costarono l'eliminazione. Nel 1965, invece, fu l'arbitro Sbardella in un derby importante per lo scudetto a negargli la gioia della vittoria finale con un arbitraggio "pro Inter": prima lasciò i rossoneri in dieci, invertendo un fallo commesso da Suarez su Benitez, poi annullò (per un fuorigioco che non c'era), la rete del vantaggio di Amarildo, ed infine convalidò una rete interista di Domenghini con un fuorigioco che invece c'era! Certo, il giovane presidente rossonero non pensava che -più degli avversari- sarebbero stati gli arbitri a frustrare i sogni di vittoria suoi e dei tifosi rossoneri. La storia, del resto, dimostra che anche dopo di lui il Milan avrebbe continuato a perdere scudetti per colpa di arbitraggi infausti! Per questo non credo sia colpa sua se la sua gestione fruttò "solo" un terzo posto nel 1964 ed un secondo posto nel 1965. Rimango del parere che il "suo" Milan fu il più forte degli anni 60, fermato solo dagli arbitri! Ma purtroppo - si sa - non sempre i migliori vincono! Ci vuole pure un pizzico di fortuna."