Nello SALTUTTI (II)

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(da "Forza Milan!")



Scheda statistiche giocatore
  Nello SALTUTTI (II)

Nato il 18.06.1947 a Gualdo Tadino (PG), † il 27.09.2003 a Gualdo Tadino (PG)

Attaccante (A), m 1.75, kg 70

Stagioni al Milan: 1, 1966-67

Cresciuto nel Milan (prelevato dal Cascine C.S.)

Esordio nel Milan in gare ufficiali e in Campionato (Serie A) il 15.01.1967: Milan vs Bologna 1-1

Ultima partita giocata con il Milan il 09.04.1967: Fiorentina vs Milan 1-0 (Campionato)

Totale presenze in gare ufficiali: 2

Reti segnate: 1

Palmares rossonero: 1 Campionato "De Martino" (1966-67)

Palmares personale: 1 Coppa Italia (1974-75, Fiorentina)




Ha giocato anche con il Lecco (B), il Foggia (A), la Fiorentina (A), la Sampdoria (A, B), la Pistoiese (B), il Rimini (B), l'Entella (Int.), il Gualdo (Prom.).

"Esordisce in Serie A contro il Bologna, segnando un gol. Nel corso della carriera si conferma un discreto centravanti, con le sue migliori prestazioni offerte con le maglie della Fiorentina e della Sampdoria. Al termine della carriera (gioca fino a quarantasei anni nelle serie minori) è coinvolto (non si sa a che titolo) nel doping per una sua testimonianza sulle morti sospette di ex calciatori per l'uso smodato di medicinali." (Nota di Colombo Labate)





Tessera "atleta" di Nello Saltutti, stagioni 1965-66 e 1966-67


Con il Foggia, 1969-70



BIOGRAFIA
Nello Saltutti nasce a Gualdo Tadino il 16 giugno 1947. Emigrato a tre anni con la famiglia in Lussemburgo, muove i primi passi calcistici con la maglia dell' Esch Sur Alzette, la "Juventus del Lussemburgo", come la chiamava Nello. Torna in Italia da ragazzino con lo zio Aldo che lo porta a giocare con le giovanili della Fiorentina. Poi approda nelle formazioni giovanili del Milan. Con la maglia rossonera esordisce in serie A il 15 gennaio 1967 (Milan-Bologna 1-1) segnando la rete del Milan. E' l'inizio di una brillante carriera calcistica in campo professionistico ai massimi livelli: 3 anni al Milan, poi Lecco (1 anno in B), Foggia (3 in B 1 in A), Fiorentina (3 in A), Sampdoria (1 in B e 3 in A), Pistoiese (2 in B), Rimini (2 in B) per complessive 522 partite (460 in campionato, 56 in coppa Italia e 6 nella nazionale under 21) e 155 goal (135 in campionato, 19 in coppa Italia ed 1 in nazionale). Nelle interviste non mancava occasione di ricordare la sua origine gualdese. Anche la sua città venne proiettata, così, attraverso la carriera di Nello, nelle cronache nazionali. Chiude definitivamente con il calcio indossando la maglia del Gualdo con il duplice impegno di allenatore-giocatore ai tempi della presidenza De Silva, prima dell'avvento del gruppo dirigente targato Tagina. Negli anni successivi riveste l'incarico di allenatore di una squadra giovanile del Gualdo, ma l'esperienza dura poco. L'unico legame con il calcio a cui teneva tantissimo era il torneo tra le squadre delle scuole elementari gualdesi nei Giochi della Gioventù. Era un appuntamento fisso ogni fine maggio. Arbitrava le partite dei bambini con l'entusiasmo di un ragazzino e un amore sconfinato per il calcio. Qualche anno fa ha avuto problemi di cuore e si era quindi associato all' ANACA, l'Associazione Cardiopatici di Gualdo Tadino con cui stava preparando una maratona ad Amsterdam. Nel corso dell'inchiesta sull'uso eccessivo di farmaci nel calcio, chiese di essere ascoltato dal PM Guariniello per raccontare la sua esperienza e denunciare il sospetto di aver assunto, a sua insaputa, e per colpa di gente senza scrupoli, delle sostanze dannose alla salute. Nello ci ha lasciato il 27 settembre 2003.




Dal sito www.wikipedia.org

Attaccante compatto, dotato di buona agilità e tecnica ma spesso non sufficientemente freddo sotto rete, ha disputato complessivamente in 522 partite mettendo a segno 155 reti, di cui 161 presenze e 41 reti in Serie A e 296 presenze e 73 reti in Serie B. Ha militato nelle squadre giovanili della Fiorentina e dell'A.C. Milan. Il suo debutto nella massima serie calcistica avvenne con la maglia del Milan contro il Bologna il 15 gennaio 1967, sfida nelle quale realizzò la rete del provvisorio vantaggio rossonero.
Successivamente, indossò le casacche di Lecco, Foggia, nuovamente Fiorentina, Sampdoria, Pistoiese e Rimini. Ha conquistato la Coppa Italia 1974-1975 con la maglia della Fiorentina ed una promozione in Serie A con la Pistoiese nella stagione 1979-80.
Terminò la carriera come giocatore-allenatore con la maglia della Società Sportiva Gualdo, la squadra di Gualdo Tadino, e quindi come responsabile del settore giovanile della medesima società.
Esiste in rete, all'interno del sito del Gualdo Calcio, un museo virtuale dedicato a Nello Saltutti e nell'agosto 2007 gli è stato intitolato un centro sportivo a Gualdo Tadino, sua città natale.

L'INCHIESTA SULLA MORTE
La sua morte - avvenuta all'età di cinquantasei anni a causa di un infarto - è al centro di un'inchiesta aperta nel 2005 dal Nucleo anti-sofisticazione dei carabinieri di Firenze, tesa ad accertare le effettive cause del decesso di alcuni giocatori della Fiorentina impiegati negli anni settanta, fra cui i difensori Ugo Ferrante (deceduto per un tumore alle tonsille) e Bruno Beatrice (morto di leucemia), che sarebbero stati sottoposti a cure mediche inappropriate o a cui sarebbero stati somministrati farmaci non idonei[1].
In un'intervista rilasciata a L'espresso, la vedova di Bruno Beatrice ha messo in relazione la morte di Saltutti con quella di suo marito, di Ugo Ferrante e di Giuseppe Longoni (morto per una vasculopatia cardiaca). Secondo la vedova Beatrice, anche le malattie di Adriano Lombardi (morbo di Lou Gehrig), Massimo Mattolini (che ha subito un trapianto di reni), Domenico Caso (tumore al fegato), Giancarlo Antognoni (crisi cardiache) e Giancarlo De Sisti (ascesso frontale) sarebbero da mettere in relazione al doping negli anni della Fiorentina.




Articolo di Walter Tobagi su Nello Saltutti

16 gennaio 1967: Esordio di un purosangue che ha il brio del crack
NELLO SALTUTTI: GIOVINEZZA IN GOL
Nello Saltutti è un ragazzo cresciuto nel vivaio del Milan. Walter lo segue dalle giovanili. Essendo coetanei, oltre che umbri entrambi (Tobagi era nativo di San Brizio, una frazione di Spoleto), tra i due nasce una profonda amicizia. Già in precedenza Tobagi aveva scritto del giovane bomber. Ora, dopo l'esordio con il gol a San Siro dell'attaccante, il giornalista è compiaciuto.

Bravo Nello! Così va bene. Esordire sul campo infame di San Siro è un'impresa titanica. E segnare un gol, come quello che sei riuscito a segnare, non è da tutti. Nello sterilissimo attacco del Milan, hai portato una ventata di giovinezza, di vita, di movimento. Ma, adesso, non lasciarti impressionare dalle lodi smodate, di chi passa con facilità dal peana alle critiche feroci.
Finita l'esortazione all'amico Saltutti, possiamo parlare del suo esordio. Non era una partita facile, s'è detto. Perché il terreno di San Siro è una pista di pattinaggio, l'avversario si chiama Ardizzon, un picchiatore di grande nome, e la difesa del Bologna è tra le più solide: Saltutti è uno scattista, capace di giocare all'ala o al centro dell'attacco. Sceglie sempre la via più corta che conduce alla porta: si smarca con incredibile rapidità. Ma l'abbrivio è difficile. L'emozione gli blocca le gambe.
Fulmine Conti, due minuti prima dell'inizio, gli ha tenuto la sua allocuzione paternalistica e scherzosa: «Guarda, Nello, entri nella fossa dei leoni. Oggi si decide se dovrai continuare a calcare i campi verdi o dovrai scendere in miniera».
Saltutti ha chinato la testa. La sua storia umana è semplice. Nato a Gualdo Tadino venti anni fa, precisamente il 18 giugno, s'è scoperto la vocazione di calciatore in Lussemburgo, a Esch sur Alzette, dove la sua famiglia era emigrata nel '50. Fu tesserato dalle Cascine di Firenze a quattordici anni. Poi andarono a visionarlo i dirigenti della Fiorentina: un ragazzo di scarse speranze, dissero.
Diverso fu il parere del Milan. Da quattro anni Nello veste la maglia rossonera. È passato dagli juniores alla prima squadra con una progressione sicura. Non è un fuoriclasse, certo, ma è nato goleador. E questa non è dote da poco conto. Gli attaccanti di razza scarseggiano: Saltutti, con i suoi gol, ha dato un'infinità di successi alle formazioni giovanili. Con la bruciante stoccata, che ha messo fuori causa Vavassori, comincia a rendersi utile anche alla prima squadra.
Lo conosciamo da diverso tempo, da quando giocava nella Primavera di Tessari... i compagni dicevano: «Saltutti non è capace di giocare, non sa palleggiare bene. Però ha fortuna: si trova davanti alla porta nel momento giusto e segna!».
Per noi, questa non è fortuna, ma abilità. Saltutti, dopo il gol, ha pianto sinceramente. Si era liberato da un peso che lo opprimeva. E ha giocato in scioltezza, sfiorando ancora il gol: se non ci fosse stato il corpo di Ardizzon sulla linea di porta, la sua seconda stoccata sarebbe finita in rete al 66'.
Nello non si morde le mani. Un gol non gli basta, anche se come inizio non è male. Alla fine ci ha confidato: «Ho sofferto un po' all'inizio per l'emozione. Poi mi sono scaldato: spero di essermela cavata!».
«Che cos'hai provato al momento del gol?».
«Non lo so. Una felicità immensa. Mi sembrava di essere un altro, più tranquillo, più disteso».
«E adesso che hai esordito?».
«Tutto proseguirà come prima. Non mi faccio illusioni. Mi vorrebbero alla televisione - si schermisce - per un'intervista, ma preferirei non andare. Non ho fatto niente di straordinario».
«I tuoi parenti?».
«C'è uno zio, qui, venuto da Firenze. Festeggerò con lui questa giornata!».
Il pubblico è soddisfatto. Dopo tanto tempo ha rivisto un milanista, che non fosse il solito Rivera, segnare a San Siro. Evviva. Saltutti ha strappato consensi e applausi. Un nome nuovo appare alla ribalta della serie A: per noi che lo abbiamo seguito con stima e amicizia attraverso le tappe della sua ascesa, non si tratta di un fatto sorprendente. Nello ha della stoffa: l'ha dimostrato e lo dimostrerà ancora. Le classifiche dei marcatori lo vedranno presto tra i protagonisti.





Ai tempi del Foggia



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Lenzi, Bigon, Maioli e Saltutti nel Foggia della stagione 1970-71, allenato da Tommaso Mastrelli (Serie A)



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Albertino Bigon e Nello Saltutti ai tempi del Foggia, 1970-71
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Giorgio Rognoni e Nello Saltutti ai tempi del Foggia, 1971-72



Con il Foggia di Bigon, Re Cecconi e Pirazzini





Con Ettore Puricelli al Foggia



Saltutti in un Fiorentina vs Milan del 1972-73
con Clerici (a sinistra) e Rosato (a destra)





Con la maglia della Fiorentina



Con la maglia della Sampdoria





Con la maglia della Sampdoria (accosciato, il terzo da sinistra)




Con la maglia della Sampdoria (accosciato, il secondo da sinistra)


In copertina di "Sampdoria Club"





Un gol al Milan, stagione 1980-81


Con la maglia della Pistoiese


Ancora Saltutti alla Pistoiese





Nello Saltutti in una formazione del Gualdo Tadino (accosciato, è il primo da sinistra)



Dal sito www.ansa.it
28 settembre 2003

(ANSA) - PERUGIA - L'ex calciatore Nello Saltutti e' morto la scorsa notte nella sua abitazione di Gualdo Tadino a causa di un malore improvviso. Aveva 56 anni. Negli anni '70 Saltutti aveva a lungo giocato in serie A, vestendo anche le maglie di Milan, Fiorentina e Sampdoria. Nel novembre '98 l'attaccante venne sentito come testimone dal pm torinese Raffaele Guariniello nell'ambito di una delle inchieste sul mondo del calcio, quella sulle sostanze dopanti.




Dal sito del Gualdo Calcio
30 settembre 2003

ADDIO NELLO
Nello Saltutti è morto sabato notte per un malore nella sua abitazione di Gualdo Tadino, dove era nato 56 anni fa. Negli anni '70 Nello aveva a lungo giocato in serie A, con Milan, Foggia, Fiorentina e Sampdoria. Era stato anche allenatore/giocatore del Gualdo nei campionati 84/85 e 85/86. Nel '98 venne sentito come testimone dal pm torinese Guariniello nell'ambito di una delle inchieste sul mondo del calcio, quella sulle sostanze dopanti. Saltutti venne chiamato a spiegare dichiarazioni fatte dopo la morte dell'ex compagno nella Fiorentina Bruno Beatrice. Al magistrato aveva rivelato di essere stato colpito da un infarto. Ai familiari di Nello giungano le più sentite condoglianze dalla redazione del Gualdo Calcio Web Site.






(Archivio "Gazzetta dello Sport")










Dal sito www.violanews.com
di Michela Lanza

DOPO LA MORTE DI SALTUTTI SI TORNA A PARLARE DI DOPING
Il mondo del calcio è in lutto dopo la morte di Nello Saltutti. Se n'è andato un ex campione di Milan, Fiorentina e Sampdoria, e dopo la sua scomparsa si torna a parlare di doping. Se n'è andato il 27 settembre scorso in seguito ad un malore, all'età di appena 56 anni. S'è n'è andato dopo che lui stesso temeva di andarsene. In seguito ad un primo infarto che lo colpì qualche tempo fa, Saltutti si recò dal Giudice Guariniello di Torino per esprimere le sue paure e per esporre i fatti di cui era a conoscenza sull'intricata vicenda doping. Le sue testimonianze hanno arricchito il fascicolo di indagini in mano ai giudici torinesi parlando appunto del suo infarto sospetto e delle paure e della preoccupazione che lo avevano preso a causa del doping di anni di calcio. La trasmissione Report, ieri sera su Raitre, ha mandato in onda un'intervista di Saltutti il quale ha ribadito la sua presenza davanti al Giudice Guariniello e ha confermato che su circa 500 partite in carriera almeno in 300 di queste ha fatto uso di doping. Per la precisione si trattava di Micoren, che veniva assunto regolarmente prima di ogni incontro. Oltre ad aver parlato del suo primo infarto sospetto, Saltutti parla della scomparsa del suo ex compagno di squadra Beatrice dichiarando che ebbe una pubalgia che decisero di curare con delle radiazioni, nonostante un medico avesse avvertito Beatrice che, se avesse continuato quel trattamento, avrebbe potuto andare contrarre, nel giro di dieci anni, la leucemia. Così è stato. Così è morto Beatrice. E così Saltutti dopo il suo primo infarto ebbe paura. Non aveva tutti i torti Nello Saltutti, salutato dagli amici durante i funerali del 29 settembre scorso.

Nello Saltutti, nato a Gualdo Tadino in provincia di Perugia il 18 giugno nel 1947, alto 1,75, era cresciuto nel C.S. Casine di Firenze ed esordì in serie A il 15 gennaio 1967 all'età di 20 anni in un Milan-Bologna terminato 1 a 1. Prima di arrivare alla Fiorentina nella stagione 1972-73, Saltutti ha militato nel Milan nella stagione 66-67 in cui ha esordito appunto in serie A, poi è passato un anno al Lecco in serie B e poi 4 stagioni a Foggia tra serie A e serie B. A Firenze per 3 stagioni (1972-73, 1973-74 e 1974-75) dopo le quali passa per altre 3 stagioni alla Sampdoria. Ma a Firenze è bello ricordarlo con la maglia viola, quando correva accanto a campioni quali Antognoni, Merlo, Desolati, Roggi, Galdiolo, Orlandini, Scala, Superchi, Brizi, Galdiolo, De Sisti, Caso, Clerici, Della Martira, Beatrice, Speggiorin, Pellegrini, Guerini, Casarsa. Anni in cui la Fiorentina si piazzò 4a, 6a, e 8a.





Dal sito www.avvenire.it
di Massimiliano Castellani

VORREMMO CHE LA VICENDA DI UN UOMO VALESSE PIU' DI UNA FIGURINA PANINI
Il mondo del calcio, annota un'altra "vittima". È morto Nello Saltutti, 56 anni, ex calciatore di serie A di Milan, Fiorentina e Sampdoria, che due anni fa in un'intervista ad Avvenire, aveva previsto: «Il mio cuore si è rotto per colpa del calcio...». Un'altra "morte bianca del pallone", così le avevamo ribattezzate, non senza un certo qual imbarazzo, quattro anni fa, quando sulla scia dell'inchiesta sui decessi sospetti dei calciatori, aperta dal pm di Torino, Raffaele Guariniello, ci sembrò giusto andare in fondo alla questione. Saltutti ci raccontò di tutte le medicine, le flebo, i beveroni sospetti che in tanti anni di carriera era stato costretto ad ingerire. Era vivo e poteva raccontarlo. Oggi purtroppo non più. Il nostro tarlo da quel giorno è stato: può un gioco, che resta se non il più bello, comunque il più seguito del mondo, trasformarsi in una sequela di eventi drammatici? L'interrogativo con il tempo, si è trasformato in dubbio radicale, fino ad indossare la casacca del sospetto. Un sospetto comprovato dalle testimonianze strazianti di mogli che avevano perso il proprio marito senza un perché. Figli orfani di padri che per mestiere scendevano la domenica in un campo di calcio, non in quelli minati dell'Afghanistan. Forse al grande reporter Ryszard Kapuscinski nel suo La prima guerra del football, è sfuggita una pagina sanguinosa quanto quella di ex talenti, come Nello Saltutti che a fine carriera hanno dovuto fare i conti con un cuore appesantito dalle sostanze somministrategli quando giocavano. E fegati "spappolati" dai farmaci ingeriti con l'ingenuità dei ragazzi di provincia di una volta, i quali, pur di portare a casa lo stipendio non opponevano resistenza a siringhe e flaconi che poi hanno generato tumori. Quelle malattie, si sono portate via Nello e gli altri. Una lista di caduti appena fuori dal campo, che si ingrossa. E il cancro resta, ed è quello incurabile di un pallone avvelenato e contagioso. Contagia quei piccoli campioni che crescono con la convinzione che la pasticchina o il beverone consigliato dal mago dello spogliatoio, sia la via più breve per conseguire un successo che spesso non arriva. O se lo si ottiene, Saltutti insegnava, «c'è un prezzo alto da pagare». La sua generazione è quella che quando si oppose all'iniezione della domenica mattina rimaneva in panchina; se poi uno era agli inizi, poteva scattare il licenziamento con l'immediata conseguenza di una famiglia allo sbando. Oggi non è più così. Con l'ingaggio miliardario di una sola stagione, un calciatore medio di serie A può dare da vivere almeno alle sei generazioni che lo seguiranno. Tanta ricchezza, forse dovrebbe essere investita quantomeno per sensibilizzare i ragazzi di adesso, aiutare quei dilettanti allo sbaraglio accecati dal mito «siamo tutti Totti», dirgli che il successo ad ogni costo comporta inevitabilmente la perdita di qualcosa, il bene più prezioso: la propria integrità fisica. Oggi al pari di quattro anni fa, abbiamo ancora gli stessi atroci dubbi appiccicati, come le maglie sudate dei nostri eroi. Che a noi però capita di osservare sempre più con gli occhi del sospetto, perché abbiamo saputo. Sappiamo che c'è un'inchiesta che a fatica cerca di aprire varchi di luce nel buio dell'omertà pallonara. Conosciamo i volti di tutti quelli che direttamente o indirettamente sono rimasti bruciati dal silenzio e attendono giustizia. Oggi scriviamo ancora il nome di un'altra vittima, e - Dio non voglia - altre purtroppo in futuro registrarne. Vorremmo almeno che tutto questo dolore servisse a qualcosa. Che la vicenda di un uomo valga più di una figurina Panini.





Dal libro 'Palla Avvelenata'
di Fabrizio Calzia e Massimiliano Castellani

L'ULTIMA INTERVISTA A NELLO SALTUTTI:DAL PROVINO CON LIEDHOLM A QUELLE POZIONI MAGICHE
Le confessioni e le riflessioni dell'ex attaccante di Milan, Lecco, Foggia, Fiorentina, Sampdoria, Pistoiese e Rimini, scomparso pochi giorni fa. Un atto di accusa, con nomi e cognomi, contro un sistema accettato passivamente anche da quasi tutte le sue vittime.

''Se avessi saputo che per tutta quella roba avrei perso amici, e rischiato di morire anch'io, non credo che potendo tornare indietro, rifarei tutto da capo. E mi domando, se valga ancora la pena che un giovane sacrifichi tutta la sua vita per un calcio del genere''. Si chiude così l'ultima intervista a Nello Saltutti pubblicata su 'Palla avvelenata', volume che corre parallelo all'indagine Guariniello (a sua volta 'lanciata' dalle famose dichiarazioni di Zeman nell'agosto 1998) sulle malattie e le morti sospette nel calcio. Fulcro del volume è la raccolta di interviste ai giocatori colpiti o ai loro familiari, ritratti personali e drammatici che costituiscono spesso un significativo j'accuse nei confronti del mondo pallonaro. Nello Saltutti, già colpito da infarto alcuni anni or sono, risultava fra i più tenaci, espliciti e dettagliati accusatori del presunto fenomeno doping. Lo si evince dal testo dell'intervista.

''È tornato Nello'', dicono i pensionati in adunata quotidiana davanti alla rotonda della Rocca Flea (Gualdo Tadino), quando lui imbocca la salita di casa. È tornato per sempre, la gloria gualdese, Nello Saltutti. L'eterno bomber baffuto oggi ha qualche capello in meno, raccolto in un codino da guerriero tartaro, ultima traccia di una gioventù sfumata. Ma lo spirito, quello resta giovane nonostante gli acciacchi di un cinquantenne cardiopatico che cerca di godersi la meritata pensione di calciatore. Il riposo del 'Levriero', sdraiato nel salotto di una casa enorme, dopo la solita corsa del pomeriggio: ''12-13 km, giusto per tenermi in forma''. Footing leggero in compagnia di Rosalba, da 38 anni al suo fianco e consigliato dal dott. Coletti, il medico di fiducia: ''La maratona serve a smaltire i grassi e grazie ai suoi consigli ho evitato il bypass''.

Una scelta di cuore, come sempre, quella di Nello. Tornare a passeggiare tra gli orti e gli ulivi dove aveva mosso i primi passi nel 1947, per poi andar via. Agli inizi degli anni '50, suo padre Giuseppe, per sfuggire alla fame che a quei tempi circolava anche nell'odierna fiorente 'ceramista' Gualdo Tadino, emigrò con la famiglia in Lussemburgo. Fatica nera di minatore, a sputare silicosi sul carbone, mentre il piccolo Nello si divertiva a giocare a calcio. ''Ho cominciato lassù, nei giovani dell'Esch-Sur-Alzette, la Juventus lussemburghese. Mi allenava un belga, un certo Berry, che appena presa la licenza media mi disse: 'Nello che ci stai a fare qui? Prova a diventare un calciatore sul serio. Tornatene in Italia'''. Quattordici anni e il cuore pieno di paura, come il Nino della 'leva calcistica' di De Gregori, Nello convinse il padre a mandarlo un anno a provare a Firenze. ''Papà mi mandava 30 mila lire al mese per farmi mantenere in casa dello zio Aldo, guardia forestale, che mi incoraggiò nei vari provini che sostenni con il Prato e poi alla Fiorentina. Ma finì che mi scartarono''.

Bruciò quella bocciatura al piccolo Nello, ma lui aveva sette vite e si rimise in sella. Lavoro al mattino e allenamenti al pomeriggio nel Club Sportivo Le Cascine. Non era la Fiorentina, però, e in famiglia cominciarono a temere che con il calcio forse era meglio lasciar perdere. Quando una mattina, ecco avverarsi il primo miracolo della sua vita: un talent-scout della zona che stava per partire con il solito 'carico' di belle speranze, da sottoporre all'attenzione degli osservatori del Milan. Nello finì tra i 400 aspiranti, ma non si smarrì. Sotto gli occhi vigili dei tecnici rossoneri si giocò fino all'ultima goccia di sudore tutte le sue chance di restare in Italia, ed evitare di finire in fabbrica o nelle miniere di Lussemburgo. ''Ebbi la fortuna di giocare proprio sul campo dove stava Liedholm, che prendeva appunti su un taccuino''.

Era l'inizio di un sogno, e dopo tanta gavetta nella formazione Primavera finalmente il 15 gennaio del 1967, l'esordio in serie A spodestando addirittura Sormani. Con la freddezza del veterano, entrò nel tempio di San Siro al fianco di Rivera. Quel giorno il Milan affrontava il Bologna, e lui, come tutti i talenti baciati dalla buona stella, andò subito in gol. ''Mi ricordo che Amarildo fece un tiro che attraversò tutta l'area piccola e io mi avventai più veloce dei terzini bolognesi e misi dentro. Poi loro pareggiarono, ma quel debutto con tanto di rete, fece talmente rumore che alla sera Enzo Tortora mi volle ospite alla Domenica Sportiva. Tanti complimenti e persino un autoradio in regalo, quando non avevo neppure la macchina...Sarebbe stata una serata fantastica, se non mi fosse ingenuamente scappata una frase in diretta, 'Sorpreso? Beh io veramente sono uno abituato a fare gol'. Non l'avessi mai detto, Silvestri, arrivato nel frattempo al posto di Liedholm, mi aspettò al varco a Milanello e mi prese a calci nel sedere. Ai tempi, i giovani in prima squadra li trattavano così, mica come adesso. E poi inseguendomi minaccioso mi gridò: 'Tu sei un montato, da adesso in poi non giocherai più'''. Minaccia mantenuta, perché poi quell'anno disputò solo un'altra partita. Pessima replica. Alla fine lasciava Milano con tanti rimpianti, ma anche con un gol in serie A. E 15 centimetri in più, per via di quelle prime 'pozioni magiche' che imparò a sorseggiare in fretta.

''Quando ero ancora nella Primavera già mi davano di tutto, l'infermeria del Milan era una cosa impressionante, e non so se sarà stato un caso, ma io da un metro e sessanta, in un anno ero passato ai miei 175 centimetri.. Strano no? All'epoca però non ho mai riflettuto su quella strana crescita. Mi infastidiva di più ripensare a Silvestri che mi mandò in prestito a Lecco, in serie B''. Fece 8 gol che poi è rimasta la media di una vita, quella giusta di una punta guizzante che a Foggia venne valorizzata da un grande maestro del calcio italiano, mai troppo rimpianto. ''Al Foggia furono quattro anni meravigliosi, con quello che considero un secondo padre: Tommaso Maestrelli. Segnavo e giocavo bene e ricordo con tanta nostalgia mia madre Rotilia, tifosa scatenata in tribuna, che scendeva spesso dal Lussemburgo per venirmi a vedere. Tanti momenti di estrema complicità con Maestrelli e le sue lacrime sincere, quando con la sua Lazio nel sottopassaggio dello stadio di Firenze gli annunciai che mia madre stava morendo di un cancro al fegato a soli 55 anni. Qualche anno dopo, lo stesso male avrebbe ucciso anche lui...''.

Coincidenze maledette della vita. Eppure piacevoli casualità, come quel suo ritorno da giocatore nella Firenze in cui pensavano che non andasse bene per il calcio. Un trasferimento imposto da Liedholm, che lo riabbracciava uomo fatto. ''Cominciai male e le prime partite non c'era verso di vedere la porta. Allora una sera il mister mi chiama a casa e mi dice: 'Nello preparati che ti passo a prendere con la macchina'. Una telefonata strana, e ancor più sospetto fu quando ad un certo punto si fermò in uno di quei ponti isolati di Firenze. Mi disse: 'Scendi, che ci sta aspettando'. Non potevo credere ai miei occhi quando arrivammo. Mi aveva portato da una fattucchiera, per togliermi il malocchio. Poi seppi che quella era una pratica che faceva spesso, ma per me fu la prima e l'unica volta''.

Incantesimo sciolto. A partire dalla domenica seguente, fece sei gol in sette partite. Non aveva più segnato da quella partita amichevole in terra inglese, la gara più bella della sua carriera. Una prestazione da incorniciare, favorita forse, anche da un 'caffè speciale' bevuto prima di entrare in campo. ''Passò un thermos. Dovevamo bere, ci dissero, perché era un caffè e ci avrebbe fatto bene. Io non lo prendevo mai il caffè e non vedevo la ragione di cominciare proprio quella sera che giocavamo una partita così prestigiosa contro il Manchester United''. E impresa fu. Saltutti con quel caffè bevuto a strozzo, diventò ancora più veloce del solito. Praticamente immarcabile. Fece il gol dell'1-1 e incantò persino i tifosi dei 'Red Devils' al punto che i tabloid britannici all'indomani titolarono il pari come la vittoria del 'Levriero italiano'.

''Quel caffè ci aveva fatto bene in campo, correvamo tutti il doppio. Il mattino dopo però all'aeroporto mi ricordo che avevamo certe facce. Le tenevamo tra le mani, distrutti, e non so se fosse solo per la fatica della gara?''. Quel caffè speciale, negli anni in cui poi sulla panchina viola arrivarono Gigi Radice e Nereo Rocco, ''si trovava tranquillamente sulla tavola imbandita, in bella vista con i flaconi delle pillole, le boccette con le gocce, flebo modello damigiane e punture a volontà''. Tutta merce a necessaria disposizione dei giocatori, che si sottoponevano ad ogni trattamento per quieto vivere. Ma qualcuno, inconsapevole, ne abusava. ''Ero sempre in camera con Bruno Beatrice, amici inseparabili in campo e fuori, un fratello. Glielo dicevo sempre, Bruno non esagerare con quelle punture. Io non so quante se ne facesse fare, durante il ritiro era sempre sotto flebo, dal venerdì sera alla domenica; lo avevano convinto che con quelle avrebbe corso il doppio. Bruno, tanto per capirci, era uno che al naturale andava molto più forte di Davids, perciò gli chiedevo: 'Ma che bisogno hai di farti iniettare tutte quelle schifezze?' A noi dicevano: sono solo vitamine, prendetele e starete meglio. Ma chissà che ci davano invece?''.

Punture sgradite ma ingoiate, come le infiltrazioni di Voltaren potenziato o le pillole di Micoren. ''Il Micoren lo hanno tolto dal mercato nell'85, perché risultò estremamente nocivo, ma intanto noi ne avevamo fatte scorpacciate per vent'anni, senza che nessun medico ci dicesse niente, e con nessun tipo di problema per le analisi del dopopartita. I controlli antidoping, poi. A ripensarci quelli erano una barzelletta: sorteggi già preparati, con le urine messe in botticelle dove si allungava la pipì con tantissima acqua e la cosa finiva lì''. Loro, i calciatori, complici di un gioco di cui non discutevano neanche e ignari di tutto. '''Me le faccio per la carriera, per far star bene la famiglia un domani', mi diceva il povero Beatrice. Io ci stavo più attento, ma più per punto preso che per effettiva convinzione''.

''Intanto poi, lui c'è morto di leucemia, e io a 50 anni, per poco non ci resto secco con un infarto''. Una pratica lunga, quanto la sua carriera di calciatore che dopo la Fiorentina sarebbe proseguita alla Sampdoria, squadra costantemente in lotta per non retrocedere, quindi alla Pistoiese, compagno di squadra di Giorgio Rognoni, che sarebbe morto prematuramente di SLA. Ultima tappa nella carriera di Saltutti il Rimini, dove con 540 presenze tra A e B e 160 gol segnati, chiuse con il professionismo a 35 anni. Una pratica selvaggia, ma consentita e accettata da tutti, senza discussioni, e tanto meno atti di ribellione. ''A dirla tutta, una volta quando ormai ero a fine carriera, nel Rimini, mi sono rifiutato di fare una puntura. Allora l'allenatore venne da me e mi disse a brutto muso: 'Vorrà dire che oggi non giochi'. Finii a soffrire in panchina, in uno scontro decisivo per la salvezza contro il Palermo. Visto però che dopo 45' eravamo sotto di due gol nel secondo tempo mi mandarono ugualmente in campo. Ero pulito, eppure corsi ugualmente e sfiorai più volte il gol. Questo a dimostrazione che anche senza punture si poteva giocare bene''.

Saltutti finito con il professionismo ha continuato a giocare fino a 44 anni. ''L'ultima partita è stata con il Nocera Umbra, dove ero partito come allenatore''. Stupiva il vecchio Levriero e gli toccava correre ancora dietro ad un pallone per mantenere una famiglia, moglie e tre figli, sfoderando tutto il repertorio di gol a tuffo d'angelo o le rovesciate che dopo quelle di Parola, divennero 'alla Saltutti'. Ma l'ultima rovesciata, quella decisiva gli è toccata farla al suo cuore: ''Ho fatto sempre una vita da atleta scrupoloso. Mai bevuto o fumato, solo tanto allenamento, una alimentazione attenta e controllata, e quindi l'infarto di quattro anni fa fu veramente un fulmine a ciel sereno, ed ho temuto fortemente di morire. Ce l'ho fatta a scamparla e adesso sono convinto che gran parte della responsabilità del mio cuore sfasciato sia dipesa da quelle porcherie che ci hanno somministrato in tutti quegli anni. Quello che fa male è vedere che la situazione oggi è peggiorata e ci troviamo davanti ad una realtà che è diventata insostenibile e sulla quale è tempo di fare chiarezza. Occorre andare alla fonte. Cominciare a controllare quello che circola nelle infermerie delle società, perché è lì che parte tutto il marcio. Credetemi, i calciatori sono quasi sempre delle vittime, l'ultimo anello di una catena che parte dai dirigenti e qualche volta anche gli allenatori, che concordano il da farsi con lo staff medico. Personalmente continuo ad avere molta fiducia in Guariniello, ma ho anche il timore che gli interessi troppo alti che ci sono in gioco possano far insabbiare la verità. Io ho l'unica consolazione di poterla raccontare ancora, la mia storia''.

Una brutta storia, quella di uomini come Saltutti che hanno perso il sonno, un amico e molto di quell'entusiasmo di un tempo. ''A volte la notte mi sveglio e non riesco più a dormire. Allora vengo in sala, mi siedo su questo divano e penso per ore a tante cose: a come è finito Bruno, al fatto che non so come andrà a finire questa mia vita. Se avessi saputo che per tutte quella roba avrei perso amici, e rischiato di morire anch'io, non credo che potendo tornare indietro, rifarei tutto da capo. E mi domando, se valga ancora la pena che un giovane sacrifichi tutta la sua vita per un calcio del genere''.





Dal sito www.foggiacalciomania.com
di Roberto Zarriello (per una parte dei contenuti riportati in questo articolo si ringrazia la redazione di Fiorentina.it)

SALTUTTI SAPEVA E TEMEVA DI POTER MORIRE. SULLA SUA MORTE L'OMBRA DEL DOPING
Vi riproponiamo un articolo apparso su La Fiorentina (supplemento cartaceo di Fiorentina.it) giusto un paio di mesi fa. Il povero Nello Saltutti, deceduto due giorni fa, aveva manifestato al giornale viola serie preoccupazioni per la sua salute. Il suo racconto di allora, ed oggi a maggior ragione, getta un'ombra sulla gestione sanitaria della Fiorentina in quei maledetti anni '70. Troppo il mistero che avvolge le pratiche mediche che, forse, determinano oggi queste tragiche e premature morti.
SALTUTTI DA GUARINIELLO: "Ricordo quando giocammo contro lo United. Mi fecero bere uno strano caffè. Corremmo a mille ed io segnai un gol fantastico."
"Me l'ero vista brutta, per un infarto con una coronaria chiusa ed un trombo che per fortuna non è entrato in circolo" aveva dichiarato Nello Saltutti, due mesi fa a Fiorentina.it.
Negli ultimi mesi conduceva una vita da pensionato, nella sua cittadina, Gualdo Tadino, curando la propria salute e l'orto. Non è rientrato nel mondo del calcio per evitare lo stress, ed ha messo in relazione quanto gli è successo con l'uso continuato di Micoren, un cardiotonico che gli è stato somministrato durante la sua carriera di calciatore. "Ho sempre condotto una vita da atleta anche dopo che ho smesso di giocare e non soltanto perché ho fatto l'allenatore. I cardiologi da cui sono stato in cura, mi hanno spiegato che l'uso prolungato di queste sostanze irrigidisce le vene e può provocare danni alle coronarie". Nello, cosa è successo in quegli anni, vi hanno usato da cavie? "Da cavie no . è che le società volevano ottenere risultati e ti davano dei preparati per potenziarti. A noi parlavano di vitamine che servivano per durare meno fatica e correre più a lungo". E nella Fiorentina, cosa succedeva? "Mi ricordo quando giocammo a Manchester, contro l'United, prima della partita ci fecero bere uno strano caffè. Sta di fatto che giocammo una partita a mille ed io feci un goal favoloso. Questo episodio l'ho raccontato anche a Guariniello che, mi dispiace ma era inevitabile, ha poi convocato Liedholm, l'allenatore dell'epoca". Il tecnico era a conoscenza delle sostanze che vi davano? "Tra l'allenatore e i medici c'è sempre un rapporto di fiducia". Saltutti parla anche dei suoi compagni più sfortunati: "è stata la moglie di Beatrice (anch'egli morto probabilmente per doping) a raccontarmi che si era curato una pubalgia con le radiazioni, per facilitare il recupero, ed un medico lo mise sull'avviso. Così, come mi è rimasto impresso quanto mi ha raccontato la moglie del povero Rognoni, che dopo le partite di Coppa dei Campioni, con il Milan, tornava a casa in uno stato di annichilimento". Nello è rimasto molto colpito dalle loro morti e da quella di Signorini e dalle attuali condizioni di Lombardi: "ho la consapevolezza che poteva succedermi quello che è successo a loro". A quell'epoca medico sportivo della Fiorentina era il professor Bruno Anselmi, una figura importante, fra l'altro uno dei fondatori, nel 1976, della Libera Associazione Medici Italiani del Calcio (L.A.M.I.CA) che tutela la figura, e l'opera, del medico sociale, nell'ambito della FIGC.
Questa è una di quelle storie che non si vorrebbero mai raccontare. Spesso si ha la sensazione che il calcio sia molto di più di una partita della durata di 90 minuti.
Interessi economici e 'politici' finiscono col prevalere su ogni tipo di questione.
I soldi prima di tutto. Per ottenerli bisogna raggiungere dei risultati prestigiosi, i dirigenti li chiamano 'obiettivi importanti '.
Anche a costo di violentare il fisico dei calciatori. L'importante è che corrano, che lottino su ogni pallone. Anche a costo di danneggiarne la propria salute.
Questo è grave, gravissimo.
Come è grave che una squadra, non una qualsiasi, la Juventus sia sotto inchiesta per l'uso di sostanze dopanti.
C'è un processo in corso e nessuno ne parla. Nessuno ha il coraggio di farlo!
Noi di Foggiacalciomania.com, pur essendo un piccolissimo giornale, abbiamo deciso di dare spazio a questa storia. Convinti che se tutti i media, piccoli e piccolissimi compresi, denunciassero certi mali, contribuirebbero quantomeno a suscitare una presa di coscienza del problema da parte degli sportivi tutti. Quelli veri che hanno il diritto di sapere.
Troppi interessi in ballo meglio tacere, potrebbe obiettare qualcuno (qualche giornalista che magari è pagato da qualche 'bandito' per non scrivere e per non dire).
A questa gente, mi piacerebbe ricordare che nulla può avere più valore della vita di una persona.
Non si può giocare con le coronarie degli esseri umani. L'uomo non è un computer a cui possono essere aggiornate e migliorate le prestazioni
Se il calcio è questo, e piaccia o no il calcio è anche questo, è meglio chiudere bottega. Questo non è sport. Qualcuno ha voluto che le cose andassero così.
Ma la verità è che la strada che si sta seguendo decreterà la morte dello sport più popolare al mondo.
Quel pallone che si tiene in vita anche (e soprattutto) grazie a i tifosi che manifestano la loro passione sportiva senza alcun tipo di interesse, solo in virtù di una sana e genuina fede sportiva.
Parliamo dei tifosi veri, non di quelli che si fanno pagare dalla società per andare in trasferta o che ricattano i dirigenti per ricevere 'trattamenti di favore '.
Ma questa è un'altra storia. Un'altra brutta storia. Come lo è, forse di più, il doping.
La speranza è che di Guariniello non ce ne sia solo uno.
Sperando che, adesso che qualche trasmissione seria (vedi "Report") ha sollevato il problema, non si permetta a nessun di stendere il solito ' velo pietoso '.
Questa volta no, adesso basta!





Dal sito www.tifoeamicizia.it

LOTTA AL DOPING SENZA FRONTIERE E SENZA SCONTI
Si è spento Nello Saltutti, 56 anni, ex calciatore, da tempo ritiratosi dal calcio e sofferente di cuore. Aveva giocato in serie A negli anni '70 indossando le maglie di Milan, Fiorentina Sampdoria, ma anche quelle di Pistoiese, Rimini e Foggia. Aveva vestito anche i panni di allenatore nella sua città natale. Era attivamente impegnato nel sociale proprio con la locale associazione di cardiopatici che salì alla ribalta della cronaca quando il ferroviere gualdese Saverio Pallucca, trapiantato di cuore, partecipò alla Maratona di New York. "Non mi toglie dalla testa nessuno che certe pratiche nel calcio mi hanno portato ad avere problemi di cuore. Per questo combatto il doping e dico che va combattuto in una lotta senza frontiere e senza sconti", andava ripetendo da anni, in prima fila nel dire tenacemente no al doping nello sport e nel calcio che amava e che per tanti anni l'ha visto protagonista. Saltutti lascia la moglie Rosalba e i figli Laura, Alessio e Stefano. La sua morte ha destato profondo cordoglio nel piccolo centro umbro.
Saltutti dopo essersi ritirato dal calcio aveva gestito con la moglie fino a qualche anno fa un negozio di abbigliamento per bambini. E con i bambini aveva portato avanti nel Gualdo l'attività del settore giovanile finché le condizioni di salute glielo hanno consentito. Era stato uno dei pochi a parlare apertamente di quelle pratiche che hanno indotto il pm di Torino Guariniello ad aprire una vasta indagine, presto sconfinata nella ricerca epidemiologica, che ha portato a conclusioni e cifre agghiaccianti. Negli anni sessanta e settanta su 24.000 soggetti i morti sono stati circa 400 e i decessi sospetti almeno 70 (71 con quello del povero Saltutti). Morti in via di ipotesi collegate all'assunzione di farmaci durante la carriera sportiva. Di questo Nello Saltutti, il popolare "bomber" di Gualdo Tadino era perfettamente consapevole e convinto. "Quando ero ancora nella Primavera mi davano di tutto - racconta lo stesso Saltutti in un libro dal titolo esplicito: "Palla avvelenata", (di Calzia e Castellani, edito da Bradipo Libri), che raccoglie le testimonianze più sconcertanti (mogli, partenti, amici, gli stessi calciatori) di tante morti "sospette" e gravi malattie nel mondo dorato del pallone - l'infermeria del Milan era una cosa impressionante e non so se sarà un caso, ma io da un metro e sessanta in un anno ero passato a 175 centimetri...Strano, no? All'epoca, però, non ho mai riflettuto su quella strana crescita".
Liedholm lo aveva voluto alla Fiorentina. L'attaccante racconta delle stranezze del tecnico, come quella di portarlo a fargli togliere il malocchio da una "fattucchiera". E parla di strane abitudini prima e durante le partite, come quando, in una amichevole con il Manchester United prima di entrare in campo: "Passò un thermos. Dovevamo bere, ci dissero, perché era un caffè e ci avrebbe fatto bene. Io non lo prendevo mai il caffè e non vedevo la ragione di cominciare proprio quella sera". Ma si piegò. Veloce e imprendibile segnò il gol dell'1-1 affascinando perfino la stampa britannica che parlò di lui come del "Levriero italiano". " Quel caffè ci fece bene in campo. Correvamo tutti il doppio, ma il mattino dopo all'aeroporto, ricordo che avevamo tutti certe facce...Eravamo distrutti". Da allora Saltutti ha riferito che: "Quel caffè si trovava tranquillamente sulla tavola imbandita in bella vista con i flaconi delle pillole, le boccette delle gocce, le flebo modello damigiane e punture a volontà". I giocatori vi si sottoponevano per quieto vivere, come alle altre pratiche: infiltrazioni di Voltaren potenziato, le pillole di Micoren. "Il Micoren lo hanno tolto dal mercato nell'85, perchè risultato nocivo, ma intanto noi ne avevamo fatto scorpacciate per vent'anni senza che nessun medico ci dicesse niente e con nessun tipo di problema per le analisi del dopopartita. I controlli antidoping, poi. Erano una barzelletta: sorteggi già preparati, con le urine in piccoli contenitori allungate con tanta acqua". La tesi di Saltutti si sposa con le rivelazioni recenti dell'ex presidente del Napoli Ferlaino: e cioè i test antidoping truffa che era facilissimo eludere. E con le dichiarazioni di Sebino Nela, ex difensore di Roma a Genoa che a "Report" (RaiTre) ha parlato del suo rifiuto a sottoporsi ad un flebo durante un ritiro della nazionale azzurra (segno che certe pratiche erano comuni anche in quell'ambito) e dei test burletta nei quali era facile che un compagno o un massaggiatore "pluito" facessero pipì al posto del giocatore sorteggiato.
"Ho sempre fatto la vita di atleta - racconta Saltutti nel libro di Calzia e Castellani - allenamento e alimentazione controllata: l'infarto, quattro anni fa fu un fulmine a ciel sereno. E adesso sono convinto che gran parte della responsabilità del mio cuore sfasciato sia dipesa da quelle porcherie che ci hanno somministrato in tutti quegli anni. Oggi? Oggi la situazione è peggiorata. Occorrerebbe controllare quello che circola nelle infermerie delle società perchè è lì che parte tutto il marcio. I calciatori sono quasi sempre delle vittime, l'ultimo anello di una catena che parte dai dirigenti e qualche volta anche dagli allenatori, che concordano il da farsi con lo staff medico. Ho fiducia in quello che sta facendo Guariniello, ma temo anche che gli interessi in gioco, altissimi, possano far insabbiare la verità". Saltutti era stato compagno di squadra di Bruno Beatrice, recentemente deceduto per la leucemia e di Giorgio Rognoni, morto per la Sla, la terribile sclerosi laterale amiotrofica, che sembra avere nei calciatori una incidenza enormemente superiore alla media: 36 casi con 13 decessi quando la malattia incide per un caso su 100.000. "Bruno - aveva raccontato Saltutti - era sempre attaccato alla flebo; le faccio, mi diceva per la carriera per far star bene la famiglia domani. Vedete, a volte mi sveglio la notte e non riesco più a dormire e allora penso: a come è finito Bruno; al fatto che non so come andrà a finire la mia vita; se avessi saputo che per tutta quella roba avrei perso degli amici e rischiato di morire potendo tornare indietro, non rifarei affatto tutto. E mi domando se valga ancora la pena che un giovane sacrifichi tutta la sua vita per una cosa del genere". Parole sinistramente premonitrici.





Dal "Guerin Sportivo", il quarto articolo sull'inchiesta riguardante il doping degli Anni 70
dicembre 2005, di Matteo Marani

"SU MIO PADRE, ANSELMI DEVE PARLARE!"
GUALDO TADINO. La casa bianca in cima alla collina è in vendita. Da queste parti la chiamano Villa Saltutti ed è stata per almeno vent'anni il vanto di Nello, con i tre figli e la moglie Rosalba. Dopo aver vissuto il successo in campo e aver conosciuto i padroni del calcio, l'ex gloria di Milan, Fiorentina e Samp aveva rinunciato ai soldi (prima di Lucarelli) per rintanarsi quassù. L'ultima apparizione in pubblico fu per Moby Dick di Michele Santoro, dove denunciò, davanti a milioni di italiani, il pericolo del doping tra i giovani. Quella sera litigò con un noto giornalista e si sfiorò la rissa a telecamere spente.

Gli aveva dato dell'opportunista, proprio a lui, che in silenzio stava morendo di calcio. Nello Saltutti era un tipo fatto così: diretto, schietto, pronto a battersi con l'umanità di chi nasce in paese. E che lì ritorna, perché nel resto del mondo rimani comunque un estraneo. Qua no. L'ultima stagione l'aveva giocata a 45 anni con la maglia del Gualdo, dalla serie A sino alla Promozione, prima dei tornei estivi in compagnia degli amici, gli stessi che da ragazzi correvano a San Siro ad ammirarlo nel Milan con un biglietto pagato da lui. E poi le cene, i ritrovi in questo salotto nel quale un'agenzia immobiliare reciderà prestissimo il cordone sentimentale tra la felicità di ieri e il dolore di oggi. Figlio di minatori emigrati in Lussemburgo, richiamati in Italia dopo il primo contratto siglato con il Foggia, Saltutti vedeva nel mattone la sicurezza, l'unica stabilità.

Oggi che non c'è più, pure gli spazi hanno perso senso, hanno smarrito una loro logica. L'appartamento si è fatto troppo grande per la moglie, donna bella, dignitosa e distrutta da un dolore feroce, di quelli che aggrediscono a distanza. Forse lascerà Gualdo per addomesticare la bestia del dolore. Perché la cosa che tutti ignorano nelle tragedie come fu quella del doping degli Anni 70 è il volto di chi resta. Quello di Rosalba, appunto, o di Laura, Alessio e Stefano. Gli ultimi tre sono nati proprio in quegli anni maledetti per l'Italia del terrorismo e per il calcio in cui tanti applaudivano papà Nello.

Alessio Saltutti ha 32 anni, lavora a Bologna, ha un fisico atletico e una vaga somiglianza con il padre Nello. Parla per sé, per la madre che vuole tutelare dalla curiosità delle televisioni e per i fratelli. Stefano è suo gemello e vive a Milano, in paese è rimasta solamente Laura. Le è nata una bambina nel luglio 2003 ed è stata l'ultima cosa che ha visto nonno Nello. L'estremo regalo donatogli dal cielo, giura Alessio. Il 27 settembre del 2003, quando a quest'ultimo è toccato diventare capofamiglia, il cuore d'atleta di Nello non ha retto al secondo infarto dei suoi 56 anni di vita e se n'è andato tra le braccia dei figli maschi. "Ho deciso di parlare per due motivi: il primo per alleggerire mia mamma dal carico dei ricordi, il secondo perché mio padre credeva in questa battaglia contro il doping".

Quando Guariniello iniziò ad indagare su certe pratiche alla Juventus, a Gualdo trovò un immediato sostenitore. Saltutti andò persino a Torino per incontrarlo e parlargli. "Lui ci credeva" riprende Alessio "più di me o di mia madre che abbiamo sempre pensato che un inchiesta non si nega a nessuno". Purtroppo, è più difficile ottenere una verità che non un fascicolo aperto. "E' questo il punto: mio padre è stato ucciso dal calcio, è morto per la Fiorentina degli Anni 70, ma non mi aspetto che sia un giudice a stabilirlo. Io lo so". I ricordi dei racconti sono nitidi: il lunedì sera era destinato all'infermeria, molti giocatori restavano cioè a Firenze per sottoporsi a flebo, cortecce surrenali, pastiglie di Micoren. "Le prendevano di continuo: pasticche assunte come zuccherini. Prima di mangiare, dopo, alla vigilia di una partita, finita la gara".

Alessio non ha prove, eppure è certo. "Se guardiamo a quella Fiorentina, il risultato è impressionante. Saltutti, Ferrante e Beatrice sono già morti. Mio padre divideva la stanza proprio con Bruno e mi raccontava dei giorni interi vissuti dal compagno con la flebo infilata. Poi ci sono gli altri: Antognoni, che qualcosa ha ammesso, Speggiorin, Caso, De Sisti. Infine ci sono quelli come Moreno Roggi che fanno finta di nulla. Ma sono sicuro che hanno una paura tremenda addosso. Non possono parlare, perché sono dentro al sistema, ma in cuor loro, alle prime linee di febbre, sono sicuro che tremano".

Alessio ha l'orgoglio di papà Nello. Ha pure quella franchezza genuina di chi è nato nel ventre dell'Italia. Un uomo sano. "Lo era anche mio padre, dopo il primo infarto nel 1999 continuò a fare sport, non riusciva a farne a meno. Corse persino diverse maratone". Quella di Dublino, fatta assieme alla moglie Rosalba, è ancora testimoniata dalle fotografie appese in casa. "La verità è che mio padre doveva morire quattro anni prima, in quell'attacco che gli prese nel '99 mentre era a tagliare la legna. Uno squarcio di due centimetri, si salvò unicamente perché era un atleta vero".

Non aveva mai fumato né bevuto, Nello Saltutti. Non aveva condotto un'esistenza dissipata, seguendo la frugalità di chi non è nato ricco. Purtroppo aveva incontrato medici meno rigorosi di lui. Una volta gli capitò di non dormire per due notti consecutive: fu dopo la partita con la Nazionale B giocata contro l'Eire. Chissà cosa gli avevano dato. "Ecco: questo è quanto vorremmo sapere noi. Che cosa gli è stato dato. Faccio un appello a Bruno Anselmi, il medico della Fiorentina di quegli anni: dica che cosa fu somministrato a mio padre e agli altri. Ha ormai novant'anni, non rischia più niente, venga dunque fuori e confessi che cosa circolava in quello spogliatoio". E' la domanda che il pm fiorentino Bocciolini ha fatto direttamente ad Anselmi e la cui risposta sarà resa nota nel processo previsto in primavera a Firenze. "Non deve finire così: io desidero che Anselmi parli in nome della vecchia amicizia con mio padre. Vivevano tutti insieme, sono convinto che tra loro ci fosse affetto. Allora ce lo dica, parli per rispetto del vecchio amico morto. Spieghi che allora non si conoscevano gli effetti di certi prodotti, nessuno lo giudicherà, ma si liberi di quel peso".

E' l'ultimo tassello che manca a questa tragica vicenda. Completare la memoria. Varrebbe più di un fiore al camposanto di Gualdo. Nello Saltutti non è più una figurina dell'album Panini, quella che negli Anni 70 passava felice nelle mani di tanti bambini come Alessio o Stefano. E' un morto che aspetta una verità. E che il calcio ha l'obbligo, fuori dalla retorica d'accatto, di donargli.





Dal "Guerin Sportivo"
dicembre 2005, di Matteo Marani

LA VERGOGNA DI GUALDO
E' difficile essere profeti in Patria. Più facile diventare defunti in Patria. Nello Saltutti, che in carriera ha vestito maglie famose come quelle di Milan, Fiorentina e Samp, da morto non ha avuto nulla di intitolato nel paese umbro che ha fatto conoscere in Italia. E' davvero vergognoso che una delle vittime del doping, uno che ha perso la vita per il pallone, non abbia neppure lo stadio di Gualdo dedicato alla sua memoria"