Amilcare PIZZI (I)

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(Archivio Magliarossonera.it)



Scheda statistiche giocatore
  Amilcare PIZZI (I)

Nato il 23.01.1891 a Milano, † il 27.08.1974 a Guello di Bellagio (CO)

Difensore (D), m ....., kg .....

Stagioni al Milan: 3, dal 1914-15 al 1916-17

Esordio nel Milan in gare ufficiali e in Campionato (1^ Categoria)
il 18.10.1914: Chiasso vs Milan 1-7

Ultima partita giocata con il Milan il 13.05.1917: U.S. Milanese vs Milan 0-2 (Coppa Regionale Lombarda)

Totale presenze in gare ufficiali: 36

Reti segnate: 2

Palmares rossonero: 1 Coppa Federale (1915-16), 1 Coppa Regionale Lombarda (1916-17)

Palmares personale: 1 Titolo di Capocannoniere (1908-09, U.S. Milanese - 7 gol)




Ha giocato anche con l'U.S. Milanese (A).



da "La favolosa epopea dell'Unione Sportiva Milanese"

AMILCARE PIZZI
Quando a Milano il calcio non era solo Milan e Inter
"Può esserci parentela fra il gioco del calcio e l'arte grafica, fra il pallone e un libro d'arte? Onestamente, dobbiamo dire di no. Il massimo accostamento fra calcio e arte si ha nell'espressione "artista del pallone", con la quale però si definisce un giocatore -facciamo Maradona - la cui arte si limita a una straordinaria capacità tecnica di giocare la palla. Rimane quindi un mistero come Milano sia riuscita a estrarre dal suo cilindro magico un personaggio che fu al tempo stesso ottimo giocatore di calcio e maestro del libro d'arte, del volume che si sfoglia con un'emozione ancor più viva di quella che si prova in un museo, in una pinacoteca. Quell'uomo è Amilcare Pizzi. Turati, Bissolati, Prampolini, insomma i romantici socialisti degli albori del Novecento avrebbero definito esemplare la vita di questo figlio di poveri diavoli che, rimasto orfano, ha conosciuto la solitudine dei martinitt in una società impietosa e che comincia a lavorare poco meno che decenne per aiutare la madre, salendo di gradino in gradino fino al rango di capitano d'industria e facendosi condizionare da un'etica del lavoro e da ambizioni culturali e umanitarie anziché dallo spirito "capitalistico" della speculazione. Nasce il 23 gennaio 1891 in una casa di via Borsieri, in quel popolarissimo quartiere al di là del muraglione rosseggiante che separa dall'abitato le ferrovie varesine, la cosiddetta "Isola Garibaldi", per anni considerato il rione più malfamato della città, obiettivo di retate in grande stile, comandate da sottufficiali di pubblica sicurezza rimasti leggendari: il falco, dalla forza erculea, che con la semplice pressione delle dita faceva piegare le ginocchia ai recidivi pià arditi; il ferreo pelisson, informato misteriosamente di tutto, sempre presente al momento opportuno, coraggioso e solitario, capace di impreviste azioni di bontà. Un quartiere nel quale ci si rassegna a morire di miseria, o ci si arruola nella teppa, o si trova la forza di sollevarsi. Il padre, Giovanni, fa il materassaio e si arrangia anche con qualche lavoretto da falegname, la mamma, Adele Beltramini, bada esclusivamente alla progenie numerosa: oltre ad Amilcare, Romolo, che è l'unico a proseguire l'attività del papà, Adriano, anch'egli pedatore di buon livello, e Luigia. A nove anni, Amilcare, esordisce come apprendista nel negozio di un elettricista che è anche idraulico, trombee, detta alla milanese. Un giorno, tornando a casa con la sua prima settimana di paga: lire una e venticinque centesimi, salendo sul ponte delle Sirenette (allora sul Naviglio, che era anche detto "delle sorelle Ghisini, per il materiale delle sculture), in via San Damiano, all'altezza di via Borgogna, scorge una donna che chiede l'elemosina ai passanti; le stanno intorno quattro bambini. Quando la donna lo vede, ritira la mano tesa per la questua..."




Dal sito www.amilcarepizzi.it

ARTI GRAFICHE AMILCARE PIZZI
Questa azienda, che tra non molto compirà i cento anni di storia, è passata attraverso trasformazioni epocali e drammatici avvenimenti (dai bombardamenti della seconda guerra mondiale al nefasto crollo delle torri gemelle, per citare due estremi), riuscendo sempre ad adeguarsi ai cambiamenti radicali di un quadro economico in continua evoluzione e di un processo di globalizzazione che impone ogni giorno sfide più complesse. Non pochi sono stati, in tanti anni, coloro che hanno vissuto da protagonisti questa avventura, prodigando professionalità, talento e passione nel mestiere. I mezzi tecnici, le macchine, le tecnologie sono sensibilmente cambiati, stimolando l'azienda a uno sforzo di aggiornamento di impianti e procedure produttive. Non è tuttavia cambiata la determinazione nel voler raggiungere certi obiettivi, la stessa che ebbe Amilcare Pizzi quando diede vita a questa impresa.
Giovane diplomato alla Scuola del Libro di Milano, Amilcare Pizzi acquistò nel 1914 la prima "pedalina" utilizzando le 2000 lire offertegli a titolo di ingaggio dal Milan FC, squadra in cui giocava con passione, e dando inizio, all'età di 23 anni, all'attività di stampatore. Lo stabilimento di corso Roma, nel capoluogo, cominciò a lavorare per diversi editori milanesi e nazionali, e la nuova denominazione Pizzi&Pizio, assunta dall'azienda con l'ingresso nella società dell'amico tipografo Pietro Pizio, sarà un marchio che apparirà per molti anni sui principali manifesti pubblicitari e cinematografici stampati in Italia. L'attenzione per la qualità delle illustrazioni, la sperimentazione di nuove formule e l'investimento pioneristico in macchinari sempre più moderni (l'offset a 4 colori acquistata nel 1936 fu la prima installata in Italia!) fecero consolidare la fama dell'azienda, il cui successo non solo non si arrestò quando i due stabilimenti di corso Roma e via Panizza vennero danneggiati durante i bombardamenti del 1943, ma anzi crebbe nei decenni successivi, portando l'Amilcare Pizzi Spa, trasferitasi nel 1965 nel nuovo stabilimento di Cinisello Balsamo, a imporsi sul mercato internazionale. Fiore all'occhiello di una produzione che riscuote riconoscimenti sempre più ampi è la monumentale riproduzione in fac-simile delle cento tavole del Codice Resta della Biblioteca Ambrosiana di Milano, realizzata per conto del Credito Italiano nel 1955. Una menzione particolare merita, nella storia dell'impresa, la Silvana Editoriale d'Arte, costituita come casa editrice autonoma nel 1948, con cui viene avviata un'attività editoriale parallela e complementare a quella della stampa. La collezione di libri d'arte Silvana, un omaggio alla memoria dell'amatissima figlia di Amilcare scomparsa prematuramente, venne inaugurata con un volume su Giotto commentato da Carlo Carrà, cui seguiranno altri titoli dedicati ai grandi artisti italiani, come Masaccio, Tiepolo e il celebre volume su Mantegna, a oggi unica e preziosa testimonianza a colori degli affreschi della basilica degli Eremitani a Padova, bombardata pochi giorni dopo la campagna fotografica effettuata dallo stesso Amilcare.
Negli anni sessanta e settanta, guidata dal nipote Rodolfo, l'azienda si afferma come leader nel mondo della grafica, stampando per i più importanti editori del mondo - come Abrams e Knopf di New York, Thames and Hudson e Yale di Londra, Dumont in Germania e Planeta di Mosca -, per i più prestigiosi musei, dalla National Gallery di Londra al Paul Getty Museum di Los Angeles, e sviluppando l'editoria sponsorizzata, un settore di mercato di cui deterrà la leadership in Italia anche nei decenni successivi.
L'imprescindibile civiltà dei pixel portata dal nuovo millennio ha ormai garantito all'arte grafica velocità di esecuzione e opportunità tecniche prima impensabili: opportunità che l'odierna azienda ha saputo cogliere, per aggiungere alla qualità che le è sempre stata riconosciuta una rapidità esecutiva e una elasticità di programmazione. Resta al centro dell'operare del gruppo Amilcare Pizzi il desiderio di realizzare, nei libri, qualcosa che possa avere una propria estetica, percepibile fisicamente nel piacere di sfogliare il prodotto finito.






(da "Il grande Milan nella grande guerra. La Coppa Federale 1915-16" - P. Brivio, L. La Rocca, E. Tosi - ediz. Anniversary Books)



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Prima delle semifinali, stagione 1914-15
(dalla rivista "Il Football", per gentile concessione di Lorenzo - Museo Grigio)



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Amilcare Pizzi nell'Unione Sportiva Milanese
(da "Lo Sport Illustrato", stagione 1920-21)
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Onorificenza ad Amilcare Pizzi
(dalla "Gazzetta dello Sport" del 10 marzo 1926)



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(da "La Stampa" del 29 agosto 1974)



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(da "La favolosa epopea dell'Unione Sportiva Milanese")



Tratto dalla "Favolosa epopea dell'Unione Sportiva Milanese"

PIZZI II ADRIANO
Sono diversi i due Pizzi. In tutto. Amilcare è prestante, ben piantato, saldo come una roccia, due cosce come colonne; Adriano è all'apparenza fragile, mingherlino, ma in realtà è un fascio di nervi, per trovargli un filo di grasso bisogna usare una lente d'ingrandimento. Amilcare in campo è tutto ardore e nessuna paura come un cavaliere medievale: i capelli arruffati, la mutria di un cerbero, il gusto del contatto, l'occhio infantile ma furbissimo e una straordinaria aria di protezione verso il fratello. Adriano sull'erba è leggerezza, intelligenza, rapidità e decisione, il volto di un pulcino bagnato, di uno che chiede permesso per passare davanti, l'arguzia come chiave per filtrare tra le maglie delle difese altrui. Amilcare inizia attaccante, passa a centrocampo e finisce difensore, arretra sempre con la spada sguainata. Adriano fa la mezzala o l'ala sinistra in punta di fioretto, muovendosi vicino alla porta in cerca dello spunto buono per violarla. Sono legatissimi fra loro. Li dividono solo due anni; hanno vissuto insieme le difficoltà della famiglia, privata di papà Rodolfo quando Amilcare aveva dieci anni anni e Adriano otto. Il genitore se ne andò nell'estate del 1901, un paio d'anni dopo il famoso "fatto di via Valassina": verso le 20,00 del 9 gennaio 1899 si trovava nella forneria di Ambrogio Signorini appunto in via Valassina 7, quando nel negozio entrò il 21enne Giuseppe Merati, cognato del titolare, in uno stato di particolare ebbrezza. Pochi minuti prima aveva bisticciato con l'altro suo cognato, Giovanni Rovida, che gestiva un'osteria nella stessa strada. Dopo averlo rimproverato per il suo stato, nella speranza di calmarlo in quanto il ragazzo dava in escandescenze, Rovida gli fece bere dell'acquavite. Pareva che tutto fosse terminato; intanto Rodolfo era entrato nell'osteria, dopo dieci minuti il Merati si riaffacciò nuovamente nel locale; scoppiò una colluttazione tra i due...un coltello a triangolo, di quelli che usano i formaggiai, era penetrato sotto il collo di Rodolfo lesionandogli un polmone. All'istituto medico di via Paolo Sarpi fu operato dal dottor Bernacchi, ma non si riprese mai del tutto. Quella morte, così imprevedibile e repentina, mise i Pizzi di fronte alla dura necessità di dover lavorare subito. Davanti a quella bara, Amilcare e Adriano diventarono di colpo uomini e giurarono di aiutarsi l'un l'altro




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(dalla "Favolosa epopea dell'Unione Sportiva Milanese")