Carlo ANCELOTTI
"Terminator"

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(Archivio Magliarossonera.it)


Scheda statistiche allenatore
  Carlo ANCELOTTI

Nato il 10.06.1959 a Reggiolo (RE)

Centrocampista (C) e Allenatore, m 1.79, kg 74

DA GIOCATORE:

Stagioni al Milan: 5, dal 1987-88 al 1991-92

Soprannomi: “Terminator”, “Carlo Martello”, “Master & Commander”, “Bimbo”, “Carletto Capoccione”

Proveniente dalla Roma

Esordio nel Milan in gare amichevoli l'08.08.1987: Reggiana Vs Milan 1-3

Esordio nel Milan in gare ufficiali e in Coppa Italia il 23.08.1987: Milan vs Bari 5-0

Ultima partita giocata con il Milan il 24.05.1992: Foggia vs Milan 2-8 (Campionato)

Totale presenze in gare ufficiali: 160

Reti segnate: 11

Palmares rossonero: 2 Scudetti (1987-88, 1991-92), 2 Coppe dei Campioni (1989, 1990), 1 Coppa Intercontinentale (1989), 1 Supercoppa Europea (1990), 1 Supercoppa di Lega (1989), 1 finale di Coppa Italia contro la Juventus (1990)

Esordio assoluto in Serie A il 16.09.1979: Roma vs Milan 0-0

Palmares personale: 1 Scudetto (1983, Roma), 4 Coppe Italia (1980, 1981, 1984, 1986, Roma)

Esordio in Nazionale Italiana il 06.01.1981: Olanda vs Italia 1-1 (Mundialito di Montevideo)

Totale presenze in Nazionale Italiana: 26

Reti segnate in Nazionale Italiana: 1

DA ALLENATORE:

Stagioni al Milan: 8, dal 2001-02 (subentrato a Fatih Terim il 6 novembre 2001) al 2008-09

Esordio sulla panchina del Milan in gare ufficiali e in Coppa Italia il 13.11.2001: Milan vs Perugia 3-0

Ultima partita sulla panchina del Milan
il 31.05.2009: Fiorentina vs Milan 0-2 (Campionato)

Totale panchine in gare ufficiali: 420

Palmares rossonero: 1 Scudetto (2003-04), 2 Champions League (2003, 2007), 1 Coppa Italia (2003), 2 Supercoppe Europee (2003, 2007), 1 Supercoppa Italiana (2004), 1 Coppa del Mondo per Clubs (2007), 1 Panchina d'oro come miglior allenatore della serie A (2003), Oscar del Calcio "Miglior allenatore del campionato" (2000-01, 2003-04), 1 finale di Coppa Intercontinentale (2003), 1 finale di Champions League (2005)

Palmares personale: 1 Promozione in Serie A (1995-96, Reggiana), 1 secondo posto in Serie A (1996-97, Parma), 2 secondi posti in Serie A (1999-00, 2000-01, Juventus), 1 Coppa Intertoto (1999, Juventus), 1 Campionato inglese (2009-10, Chelsea), 1 Community Shield (2009-10, Chelsea), 1 FA Cup (2009-2010, Chelsea)










Ha giocato anche con il Parma (C, 1976-79) (squadra nella quale è cresciuto) e nella Roma (A, 1979-87).

Ha allenato anche la Nazionale Italiana (secondo di Arrigo Sacchi, 1992-95), la Reggiana (B, 1995-96), il Parma (A, 1996-98), la Juventus (A, 1999-01), il Chelsea (A, dal 2009-10).

"Venne acquistato da Silvio Berlusconi all'ultimo minuto dell'ultimo giorno utile nella campagna trasferimenti dell'estate 1987, su espressa volontà di Arrigo Sacchi (del quale diventerà poi "secondo" in Nazionale), diventando subito un punto fermo in campo e nello spogliatoio. Il presidente della Roma, l'ingegner Dino Viola, convinto di aver bidonato Via Turati avendo considerato già logoro il giocatore visti i gravi infortuni precedentemente subiti, si dovette subito ricredere quando poté constatare, suo malgrado, che non solo era diventato un uomo insostituibile nel centrocampo rossonero, ma che riconquistò anche la Nazionale, partecipando ai Mondiali del 1990. Indimenticabili la sua ultima partita in campionato a S. Siro nella vittoriosa stagione 1991-92, quando, alla penultima giornata, entrato nel corso della ripresa, segnò una splendida doppietta al Verona, per il 4-0 finale e, due giorni dopo, l' amichevole contro il Brasile, giocata in suo onore, quando venne osannato da settantamila persone prima, durante e dopo l'incontro; "Ancelotti cuore dei Tigre" recitava uno striscione sempre presente a S.Siro, che stava a significare l'affetto che la curva (e non solo quella) nutriva per lui. Il suo sogno (inconfessato pubblicamente) è quello di allenare, un giorno, il Milan. Ci riuscirà?" (Nota di Colombo Labate del 1998)

"Quando scendeva in campo, sia che si giocasse la finale di Coppa dei Campioni oppure un'amichevole, lui dava sempre il massimo. Ancelotti, cuore dei "tigre", come lo hanno soprannominato i tifosi appartenenti al club rossonero "Commandos Tigre", ha cominciato la sua carriera calcistica nel Parma in serie C1 nel 1976. Passato alla Roma nel 1979 vi è rimasto per otto anni mettendo insieme 171 presenze, segnando nove gol e vincendo uno scudetto ('82/'83) e quattro Coppe Italia ('79/'80) ('80/'81) ('83/'84) ('85/'86). Passato al Milan ha preso in mano il centrocampo rossonero riuscendo a vincere tutto quello che c'era da vincere, quando, a soli 28 anni, molti lo davano già per finito a causa delle due operazioni al ginocchio. Indimenticabile la sua gioia dopo il primo gol al Real Madrid in quella ormai storica sfida di Coppa Campioni terminata 5-0 per il Milan. Carlo Ancelotti ha vestito la maglia azzurra 26 volte segnando anche un gol. Uno solo, ma davvero speciale. Lo ha realizzato, infatti, nella partita d'esordio con la nazionale il 6 gennaio 1981 in Olanda-Italia finita 1-1." (Dal sito AC Milan.com)




"Un famoso giornalista lo ha definito una straordinaria miscellanea di infortuni e resurrezioni"

Dal sito www.wikipedia.org

Club
Ancelotti esordì in Serie C nella stagione 1976/1977 nelle file del Parma poco più che diciottenne. A Parma disputa ottimamente la stagione 1978/1979, coronata da una promozione dopo lo spareggio con la Triestina vinto per 3-1, nel quale realizzò una doppietta.
Fu così scoperto da Nils Liedholm che, precedendo di poco l'Inter, nell'estate del 1979 lo portò alla Roma. Fece il suo esordio in Serie A il 16 settembre 1979 in Roma-Milan 0-0. A Roma Ancelotti mise presto in mostra le sue doti di vigoroso centrocampista, fino a divenire, nel 1985, capitano della squadra, con la quale ha vinto uno scudetto (1982/1983) e 4 Coppe Italia (1979/1980, 1980/1981, 1983/1984, 1985/1986) in otto anni.
Nel 1987 passò al Milan, con cui vinse praticamente tutto: due scudetti (1987/1988 e 1991/1992), due Coppe dei Campioni (1988/1989 e 1989/1990) e due Coppe Intercontinentali (1989 e 1990), due Supercoppe europee (1989 e 1990) e una Supercoppa di Lega (1988).
Chiuse la carriera nel 1992, a solo 33 anni, con il suo terzo scudetto personale, il secondo a Milano. Nell'ultima partita a San Siro realizzò addirittura una doppietta nella gara contro il Verona vinta per 4-0 dai rossoneri.
È stato forse il centrocampista italiano più completo del calcio contemporaneo: fisicamente potente e molto forte in fase d'interdizione del gioco, aveva altresì grandi doti tecniche e di manovra e un potente tiro dalla lunga distanza. Ripetuti infortuni alle ginocchia (nel 1981 contro la Fiorentina a Roma e nel 1983 contro la Juventus a Torino) gli impedirono, tuttavia, di partecipare alla spedizione mondiale azzurra di Spagna 1982.

Nazionale
Vanta 26 presenze e un gol con la maglia della Nazionale italiana, con la quale ha partecipato ai Mondiali di Messico 1986, giocato agli Europei 1988 e ai Mondiali di Italia 1990.
Carlo Ancelotti ha segnato un solo gol in Nazionale, ma davvero speciale. Lo ha realizzato, infatti, nella partita d'esordio con la Nazionale il 6 gennaio 1981 in Olanda-Italia finita 1-1.
Nel 1986 in Messico venne convocato da Bearzot fra i 22, ma le caratteristiche altimetriche della zona (circa 2.000 m.s.l.m.) lo penalizzarono nei test atletici, tanto che fu destinato alla tribuna per tutto il campionato a vantaggio di Fernando De Napoli.
Nel 1988 in Germania, dove disputa 4 partite, risulta uno dei migliori centrocampisti centrali europei mentre nei Mondiali italiani del 1990 gioca solo 3 gare (tra cui la finale del terzo posto) a causa di uno stiramento al quadricipite femorale destro.

Carriera da Allenatore
Ancelotti ha iniziato la carriera di allenatore come vice di Arrigo Sacchi nella Nazionale italiana fra il 1992 e il 1995.
Nel 1995 è passato alla Reggiana, in Serie B, dove ha conquistato il quarto posto e la promozione in Serie A.
L'anno successivo è stato ingaggiato dal Parma. A Parma in due anni ha ottenuto una seconda posizione (qualificazione ai preliminari di Champions League), che costituisce ancora il record in Serie A per i ducali, e una quinta posizione (qualificazione alla Coppa UEFA) in Serie A.
Nel febbraio 1999 è subentrato a Marcello Lippi alla guida della Juventus, con cui ha colto subito un quinto posto. Tuttavia nella città Sabauda è stato contestato dai tifosi bianconeri sin dal giorno del suo arrivo a causa del passato da giocatore del Milan e della Roma. La stagione seguente ha vinto la Coppa Intertoto in estate e a fine campionato ha ottenuto la qualificazione alla Champions League, piazzandosi al 2° posto in Serie A, dopo averla dominata per l'intera stagione e perdendo il titolo solo all'ultima giornata con la sconfitta a Perugia in un campo allagato. Durante la stagione 2000/2001 fu ancora sulla panchina bianconera e arrivò un altro secondo posto in campionato, in seguito al quale si concluse il rapporto con la squadra torinese, nonostante i 144 punti conquistati dalla Juventus in due anni.

Il 5 novembre 2001 ha sostituito a stagione in corso a Fatih Terim sulla panchina del Milan.
A fine stagione è giunto al quarto posto, aggiudicandosi così i preliminari di Champions League. Nella stagione 2002/2003 ha portato il Milan al terzo posto in campionato ma soprattutto a vincere la finale di Champions League all'Old Trafford di Manchester contro la Juventus (28 maggio 2003, 0-0 dopo i tempi regolamentari, 3-2 dopo i rigori) e la Coppa Italia contro la Roma. La stagione successiva è iniziata con la vittoria della Supercoppa europea contro il Porto e si è conclusa con la vittoria dello scudetto, ma purtroppo non è riuscito a conquistare a dicembre la Coppa Intercontinentale contro il Boca Juniors (1-1 dopo i tempi regolametari, 1-3 dopo i rigori). La stagione 2004/2005 è cominciata con la vittoria della Supercoppa italiana contro la Lazio ma l'epilogo non è stato dei migliori: il secondo posto finale in campionato valse l'ennesima qualificazione in Champions League, ma il 25 maggio 2005 il Milan perse la finale della più prestigiosa manifestazione continentale per club contro il Liverpool allo stadio Atatürk di Istanbul pur chiudendo il primo tempo in vantaggio 3-0 (sconfitta ai rigori dopo il 3-3 finale). Anche la stagione 2005/2006 è stata sulla falsariga della precedente, con il Milan altamente competitivo in tutte le manifestazioni, ma alla fine con poche soddisfazioni per il mister: di nuovo secondo posto dietro la Juventus e fuori nelle semifinali di Champions League, eliminati dai futuri campioni del Barcellona (0-1 in casa e 0-0 in Catalogna).
Nel 2006/2007, dopo la penalizzazione iniziale di otto punti, Ancelotti ha portato il Milan a raggiungere il quarto posto in campionato ma soprattutto a vincere nuovamente la Champions League allo Stadio Olimpico di Atene, il 23 maggio 2007 contro il Liverpool con il risultato di 2-1 (doppietta di Filippo Inzaghi), proprio contro la squadra che due anni prima lo aveva sconfitto. Grazie a questa vittoria il Milan è potuto accedere direttamente al tabellone della Champions League 2007/2008, senza passare dai preliminari. Dopo la finale ha prolungato coi rossoneri sino al 30 giugno 2010. Il 31 agosto 2007 ha conquistato la sua seconda Supercoppa Europea da allenatore, questa volta contro il Siviglia, grazie ai gol di Filippo Inzaghi, Marek Jankulovski e Kaká che hanno chiuso la partita sul 3-1 per i rossoneri.
Il 16 dicembre ha vinto da allenatore la sua prima Coppa del Mondo per club a Yokohama battendo in finale il Boca Junior 4-2, diventando così il terzo allenatore a vincere tale manifestazione dopo averla vinta anche da giocatore.
Secondo l'Istituto Internazionale di Storia e Statistica del Calcio, Carlo Ancelotti è stato il miglior allenatore del mondo nel 2007. Il tecnico del Milan ha ottenuto 193 punti, precedendo Alex Ferguson (Manchester United, 134) e Juande Ramos (Siviglia, poi passato al Tottenham, 104). La stagione 2007-2008, sempre alla guida del Milan, si conclude con un 5° posto in Serie A: per la prima volta nel corso della gestione Ancelotti i rossoneri non ottengono la qualificazione alla Champions League.






Ai tempi della Roma






Al Milan, stagione 1988-89






In Nazionale






Mister rossonero

Nel 2008-2009 il Milan di Ancelotti, nonostante un avvio brillante, si piazza al terzo posto e non si qualifica per gli ottavi di finale di Coppa UEFA. Ancelotti ha ricevuto la prima espulsione da allenatore rossonero l'11 aprile 2009 per proteste, nella partita esterna contro il Chievo, a quasi otto anni dal suo esordio come tecnico del Milan. In precedenza era stato allontanato dal direttore di gara per due volte ai tempi del Parma.
Al termine dell'ultima giornata della Serie A 2008-2009 ha confermato le numerose voci dei mesi precedenti dichiarando ai giornalisti di aver deciso, consensualmente con la società, di interrompere il suo rapporto contrattuale con il Milan. Con le sue 420 partite da allentore negli 8 anni in rossonero è diventato il secondo tecnico per numero di presenze nel Milan dopo Nereo Rocco (459).

Chelsea
Il 1º giugno 2009 il Chelsea ha ufficializzato l'ingaggio di Carlo Ancelotti come nuovo allenatore attraverso una nota sul proprio sito ufficiale. L'allenatore emiliano ha firmato un contratto triennale che avrà inizio il 1º luglio 2009.




Carlo Ancelotti nasce a Reggiolo (RE) il 10 giugno 1959. Vive l'infanzia in campagna con la famiglia che vive grazie al lavoro agricolo del padre Giuseppe. Frequenta l'Istituto Tecnico prima a Modena e poi Parma, presso il rigido collegio dei salesiani. Conseguirà a Roma il diploma di perito elettronico.
Le prime esperienze calcistiche importanti avvengono con le giovanili del Parma. Esordisce in prima squadra poco più che 18enne in serie C. Dopo due anni la squadra è promossa in serie B. Pochi mesi più tardi Carlo Ancelotti approda in uno dei più importanti club italiani: la Roma.
Ha modo di giocare al fianco di alcuni autentici campioni quali Paulo Roberto Falcao, Bruno Conti, Di Bartolomei, Roberto Pruzzo: in panchina siede uno dei più grandi maestri di sempre: il Barone Nils Liedholm. Con la maglia giallorossa vince un scudetto (1983, atteso da quarant'anni) e quattro edizioni della Coppa Italia (1980, 1981, 1984, 1986).
Conosce uno dei suoi momenti più amari nella finale della Coppa dei Campioni persa contro il Liverpool (che per infortunio non disputa).
Nel 1981 e nel 1983 abbandona per lunghi mesi l'attività a causa di due gravi infortuni. Nella sua ultima stagione alla Roma, nel 1986-87, Ancelotti è il capitano.
Passa poi al Milan di Silvio Berlusconi. Tranne la Coppa Italia, Marco Van Basten, Ruud Gullit, Frank Rajkard, Franco Baresi, Paolo Maldini e gli altri campioni del Milan, insieme a Carlo Ancelotti, vincono tutto. Sono gli anni indimenticabili del grande Milan di Arrigo Sacchi.
L'esordio in nazionale di Ancelotti avviene il 6 gennaio 1981 in un incontro contro l'Olanda (1-1). Totalizzerà 26 presenze, partecipando anche ai mondiali di Mexico 1986 e a quelli italiani del 1990.
Nel 1992, anche a seguito di alcuni problemi fisici, Carlo Ancelotti decide di abbandonare la carriera di calciatore. Subito dopo inizia il cammino professionale di allenatore.
In qualità di vice, nel 1994 accompagna proprio il suo maestro Arrigo Sacchi alla guida della nazionale italiana, ai mondiali statunitensi. Un po' per la grande delusione della triste finale mondiale persa ai rigori, e un po' per la voglia di iniziare a camminare con le proprie gambe, Ancelotti lascia il team della nazionale per tentare la carriera di allenatore di club.
Nel 1995 guida la Reggiana appena retrocessa dalla Serie A. La stagione si conclude con il raggiungimento del quarto posto, ultimo utile per il ritorno nella massima categoria.
L'anno seguente la famiglia Tanzi gli affida la conduzione tecnica del Parma. L'avvio non è dei migliori ma a fine campionato raggiungerà il secondo posto alle spalle della Juventus. Nella squadra giocano dei veri futuri campioncini tra cui Gigi Buffon e Fabio Cannavaro.
A febbraio del 1999 Ancelotti subentra a Marcello Lippi alla guida della Juventus.
L'ambiente era lacerato e scosso dai dissidi interni che furono alla base dell'allontanamento del predecessore. A fine stagione chiuderà con un dignitoso quinto posto. Nel 2000 lo scudetto sfugge di mano all'ultima giornata.
Pur con un meritatissimo secondo posto, ottenuto con un bel gioco, l'esperienza torinese si conclude con una decisione da parte della dirigenza che ancora oggi lascia delle ombre. L'anno seguente sarebbe ritornato Marcello Lippi.
Torna al Milan come allenatore e inizia un progetto ambizioso plasmando una squadra stellare. Nel 2003 vince la Champions League proprio contro la Juventus e nel 2004 porta la squadra milanese a vincere il campionato italiano con due giornate di anticipo stabilendo una serie di record statistici che saranno difficili da superare. Perde la Champions ai rigori nel 2005 in una rocambolesca finale contro il Liverpool, ma la conquista nuovamente due anni dopo, ancora contro la stessa squadra, portando di fatto il Milan a diventare la squadra europea più forte degli ultimi 20 anni.




CARRIERA IN CAMPIONATO
STAGIONE SQUADRA PRESENZE RETI

1976-77

Parma (C)

1

-

1977-78

Parma (C)

21

8

1978-79

Parma (C)

33

5

1979-80

Roma

27

3

1980-81

Roma

29

2

1981-82

Roma

5

-

1982-83

Roma

23

2

1983-84

Roma

9

0

1984-85

Roma

22

3

1985-86

Roma

29

-

1986-87

Roma

27

2

1987-88

Milan

27

2

1988-89

Milan

28

2

1989-90

Milan

24

3

1990-91

Milan

21

1

1991-92

Milan

12

2



CARRIERA IN ROSSONERO (COPPA ITALIA)
STAGIONE SQUADRA PRESENZE RETI

1987-88

Milan

7

-

1988-89

Milan

2

-

1989-90

Milan

4

-

1990-91

Milan

4

-

1991-92

Milan

6

-




Dal sito www.storiedicalcio.altervista.org

INTERVISTA A CARLO ANCELOTTI, gennaio 1982
Gennaio 1982: il romanista Ancelotti alle prese con un grave infortunio ne approfitta per tracciare un consuntivo della sua carriera...
Preparava l'anno dei Mondiali, la sua grande stagione: dovrà invece starsene fermo per otto mesi. Li passerà nella sua Reggiolo, fra le nebbie della Bassa ultima vittima di un calcio violento. «Ero troppo fortunato, me ne vergognavo»


CARLO ANCELOTTI, IL RAGAZZO DI CAMPAGNA
ROMA. Gli ha detto a un certo punto sua madre Cecilia: «Ora basta, non pensarci più, al mondo parecchi soffrono e stanno peggio, devi sempre guardarti indietro...» Carlo Ancelotti si è messo a ridere e aveva magari voglia di piangere, nella stanza n.65 di Villa Bianca, tra dottori, curiosi, cronisti, belle infermiere. Sua madre con la stupenda severa semplicità delle donne della Bassa parlava ancora: «Invece d'andare in Spagna a correre dietro a un pallone, verrai da noi, a Reggiolo... In campagna da giugno ad agosto tuo padre ha proprio bisogno d'un contadino in più. Forza Carlo, devi reagire come se non fosse successo niente...». A Reggiolo adesso c'è nebbia, l'inverno è più lungo, la campagna può essere devastata dalla grandine, i fulmini possono bruciare le stalle, la vita raggelata tra nevicate che ritornano e si sciolgono vieta le emozioni e gli stupori dell'avventura, dell'imprevisto, dell'amore e della fortuna improvvisa. È Carlo, il calciatore di campagna che era diventato un «V.I.P.» nella capitale d'Italia, a raccontare com'è il gennaio dalle sue parti, come lo ha visto con occhi di bambino, come lo rivedrà tornando a casa dopo l'operazione al ginocchio destro. No, non vuole andare alla ricerca del nemico perduto, delle partite domenicali cui non parteciperà, delle interviste sui giornali per raccontare un gol, una vittoria, un'azione da calcio spettacolo... Non si lamenta e non si commisera più. Sua madre, prima di salutarlo, è stata più convincente di qualsiasi medico, più consolante nella sua durezza, nella sua verità, di qualsiasi pietosa bugia.

FIGLIO DI FERRO. E Ancelotti, dopo la lunga sbandata psicologica, è tornato semplicemente quello di Reggiolo; il figlio fatto di ferro della signora Cecilia, il giovanotto di campagna che ricomincia sempre con entusiasmo a darci sotto, a consumare un giorno come un altro in grazia di Dio, in pace con se stesso e con gli altri. «A Reggiolo - incalza - di questi tempi ci si diverte un po' con le carte all'osteria oppure coi racconti del passato. Sembra che l'inverno non passi mai e invece ci si sveglia una mattina e c'è il chiarore della primavera, c'è il sole, l'aria si è raddolcita. È bello uscire dall'inverno a Reggiolo per andare incontro all'estate. Ecco: sarà così anche per me. Io penso d' essere soltanto capitato in un tunnel, nell'inverno più rigido della mia carriera. Fino a quella domenica di ottobre all'Olimpico, fino a quello scontro con Casagrande della Fiorentina, ero stato troppo fortunato, pazzescamente fortunato. Sempre sole e giardini fioriti. No, era troppo... Lo confessavo a me stesso che era troppo e un po' stralunato tiravo avanti con il cuore di un milionario. Ero chiuso, introverso, timido, proprio perché temevo che gli altri si potessero scandalizzare della mia completa felicità. In due anni con la Roma ero arrivato perfino alla Nazionale, avevo bruciato le tappe. No, non era possibile! Io sognavo a occhi aperti, era una favola. Oggi non sogno, alle favole non ci credo più. Sono finalmente maggiorenne e vaccinato. Meglio così...».











Contrastato dal cesenate Piraccini


RIVINCITE. È stata sua madre a dargli la voglia di parlare schiettamente, di confessarsi. Riempiamo un blocco d'appunti. Ci sono i racconti del passato e i disagi attuali, ci sono le perplessità sul futuro sbiadite e comunque sdrammatizzate dalla virile certezza di avere ancora tanto tempo davanti. «Sì, ho 22 anni appena, e saprò prendermi le mie rivincite sul destino. Quanto potrà tenermi bloccato, fermo, questo benedetto ginocchio? I medici fanno pronostici per eccesso e giurano che tra otto mesi... Io non voglio pronosticare più nulla, voglio avere soltanto pazienza da vendere. E voglio guarire perfettamente perché tra me e il ginocchio operato non ci siano più malintesi. Da tre mesi non ci capivamo più... Lunedì 4 gennaio mi ha tradito, ha ceduto nuovamente. Io sparavo certe botte sul pallone, come mai in vita mia; sapevo che c'era la grossa possibilità di rientrare ad Ascoli con la maglia giallorossa e non ci capivo più niente dalla gioia... Potenza e precisione nei tiri in porta m'illudevano... Mi domandavo: ma chi sono diventato? Sarò mica diventato Pelè in neppure tre mesi d' inattività forzata. All'ora di pranzo, da Trigoria, ho chiamato i genitori: preparatevi, dovete venire ad Ascoli, vedrete che non vi pentirete, farò un figurone... sono guarito, sano come un pesce...». A questo punto la voce s'incrina, forse sta per cedere nuovamente alla tentazione dello sconforto. Ma è un attimo; di certo si ricorda di sua madre contadina, della cristiana rassegnazione di tutti i suoi paesani, della forza d'animo che ci vuole nell'inverno a Reggiolo soprattutto quando le calamità naturali distruggono la fatica e il lavoro onesto di mesi. Riprende a raccontare con fermezza, sfidando il presentimento stesso di potersi inceppare per dar via libera al pianto dirompente. Dice: «Il lunedì pomeriggio di quel quattro gennaio, per un passaggetto laterale senza sforzo, mi sono ritrovato col sedere in terra e addio progetti. Ho dovuto riattaccarmi al telefono per dire ai miei vecchi di non muoversi, il ginocchio aveva fatto "crack" ... Ma perché questi scienziati che tirano fuori tante cose incredibili, non inventano una protezione delle ginocchia ai giocatori di calcio? Ma no, no, forse dico stupidaggini. Ognuno ha il suo destino e deve tenerlo. E allora, cosa avrebbe dovuto fare Francesco Rocca ch'era un superman, un forzuto, il più agile e sano di tutti? E' stato proprio Rocca a tranquillizzarmi fraternamente; lui di ginocchi se ne intende come uno specialista, come il professore Perugia. Lui, quando era in pieno dramma, ha studiato tutti i misteri possibili d'un ginocchio e magari avrebbe potuto sostenere una tesi di laurea. Ebbene, Rocca mi ha detto che devo stare tranquillo perché non ho subito lesioni alla cartilagine come invece era capitato a lui. Io ho avuto la rottura d' un menisco e qualche legamento indebolito è stato rinforzato senza problemi. Dovrò però sacrificarmi molto durante la rieducazione. Mi hanno prescritto due ore di ginnastica al giorno con concentrazione totale. Poi mi hanno pregato di non avere fretta, ma non c'era bisogno... Vi giuro che non ho più fretta e che saprò sopportare serenamente il calvario. È roba da niente rispetto a quello che capita in giro, nel mondo, ogni minuto. Mia madre è saggia, mia madre ha proprio ragione».

MALINCONIA. Si sforza d'essere sereno e paradossalmente siamo noi a sentire il peso ingombrante della malinconia. Rivediamo Carlo Ancelotti in azione e ci sembra impossibile averlo perso per questo campionato, per i mondiali in Spagna, per parecchio tempo... dopo aver disputato 55 partite nel Parma era stato voluto a ogni costo da Nils Liedholm. Il presidente Viola s'era ribellato: «È un contadino che costa più d'una flotta... che ha, i piedi d' oro?». Liedholm era rimasto impassibile e con una frase lapidaria aveva tagliato corto: «Vedrà che non si pentirà: la Roma farà un investimento favoloso per quindici anni...». E a Roma Carlo Ancelotti s'era trovato subito a suo agio soltanto sui campi d'allenamento e all'Olimpico. In una delle prime interviste nell'inverno 1979 ci confessò: «Quando sono libero non esco mai dal pensionato perché ho paura di perdermi... io a Roma non c'ero venuto mai neppure da turista e mi è sembrata tentacolare, immensa. Io solo quando gioco non mi perdo e sono disciplinato tatticamente senza far fatica. Il barone dice che non vado mai contromano ed è il più bel complimento che un calciatore moderno possa ricevere...»

AUGURI. Che senso hanno allora i discorsi in camice bianco di questi primi giorni del 1982? Tutti a parlare dapprima d'artroscopia e cioè della«visualizzazione endoscopica di una cavità articolare». Era stata proprio l'artroscopia ad escludere nell'ottobre scorso complicazioni gravi nel prezioso ginocchio del ventiduenne Ancelotti. Eravamo tutti felici e il sanitario della Roma, il dott. Alicicco, aveva commentato: «Carlo è indistruttibile, Carlo ha fasce muscolari poderose e praticamente si è salvato, non si è fatto nulla di serio dopo la brutta torsione dell'arto conseguente lo scontro di gioco con Casagrande. Su, allegri, Carlo è una testa dura della Bassa padana. Se un toro gli dà un calcio si sloga la caviglia... povera bestia». E giù a ridere, senza paventare il peggio, scongiurati gli imprevisti che sempre incombono in questi casi. Arrivano telegrammi e biglietti d'auguri; e ogni volta si ripeteva lo scherzo. «È il conto che dovrai pagare! - diceva il presidente Viola, presentandosi nella stanza con una busta bianca in mano... - È un conto salato, Carlo, non vorrai mica pretendere che la Roma...»

BEFFA. E lui ribatteva sempre per gioco: «lo mandi a Casagrande, signor presidente. Io sono già abbastanza inguaiato. Mi perdo tante belle partite, i premi, le sfide con I' Inter, la Juventus, il Milan... quando rientrerò...?». Questi mesi sono volati, il 1981 è finito tra champagne e fuochi d' artificio. Ancelotti, alla televisione, prima degli spari di mezzanotte sull'anno che muore ascolta una maga. «Incompetente che altro non è - borbotta - ha avuto l'ardire di spiegare che il 1982 sarebbe stato splendido per quelli del mio segno zodiacale. Io non avevo mai dato retta a queste cose, non ci ho mai creduto, non mi sono mai fatto leggere la mano e ho sempre rifiutato di conoscere il mio destino dalle carte. Per una volta che sono stato a sentire, avete visto com'è andata. È il mio periodo nero. È cominciato quando ho dovuto saltare la preparazione di Brunico per il servizio militare. Dovevo inseguire sempre in salita i compagni e ho cercato di allenarmi anche per conto mio per non restare troppo indietro. Proprio come capita a scuola quando si è malati e si perdono troppe lezioni. In fondo andare agli allenamenti di Liedholm è un po' come frequentare l'università del football». Era una stagione importante, la stagione dei mondiali. Un anno fa, al «Mundialito», Carlo Ancelotti era esploso, aveva avuto l'orologio d'oro per il gol-lampo messo a segno a dispetto di qualsiasi concorrenza. Al ritorno a Fiumicino, lo avevano atteso, come fosse un divo. E lui timido, impacciato, si ostinava a spiegare: «Una partita di calcio resta una partita di calcio anche in capo al mondo, anche su Marte e sulla Luna. Io cerco di giocare sempre con semplicità come quando avevo la maglia del Reggiolo o quella del Parma. Resto un provinciale e non mi dispiace affatto. Io non riesco a polemizzare con nessuno, a parlare male di nessuno. Sono cresciuto in campagna, all'aria libera, tra vendemmiate e corse in bicicletta. Gioco d'istinto e non mi faccio mai male. Mia madre diceva sempre: guarda Carlo che se ti fai male la pianti col calcio e pensi solo alla campagna! Diceva così quando ero bambino, e scappavo anche a piedi nudi, oppure dalla finestra con una corda appesa, per partecipare a una sfida di pallone in cortile... Io mi sono rotto fin qui soltanto un braccio, ma in bicicletta. M'ero messo in testa di fare il Gimondi e sono finito contro un camion...»

RIVELAZIONI. È passato più di un anno dalle emozioni del «Mundialito» in Sud America, dalle prime accurate interviste, dagli inevitabili «ritratti», dalle sue sfiziose rivelazioni di emiliano della bassa. Seguirono altre partite ed altri elogi, le previsioni di Liedholm e di Bearzot, la stima degli intenditori di Milano e di Torino. Tutto crudelmente finito? Col suo ginocchio operato, con quel menisco asportato, Ancelotti ferito sul lavoro, non vuole rispondere, non vuole che brilli la commozione intorno al suo caso. Osserva con la schiettezza di sua madre: «In questi giorni mi sono sentito un monumento... Venivano in tanti, era un pellegrinaggio. Io ringraziavo, le solite parole la solita faccia di circostanza. In certi casi uno non sa proprio come deve comportarsi. Io, poi, ero impreparato. Quando capitava un incidente agli altri ero convinto che a me non sarebbe mai capitato... Invece... Invece in questo campionato gli incidenti si sprecano, c'è una vera e propria nazionale di infortunati più o meno gravi. Così, credo proprio che non si possa andare avanti. Bisognerebbe far qualcosa contro il gioco duro, contro la violenza negli stadi...». Naturalmente non si riferisce alla sua storia, non porta rancore a Casagrande. «A me doveva succedere punto e basta, mi consolerò con lo scudetto della Roma!». Prova a sfogliare un giornale. Legge un titolo, beve un sorso d'acqua minerale, chiede il giorno e l'ora. Spesso chiede che giorno è, che ora è... comincia l'attesa. Carlo ragazzo di campagna si sente immerso nell'inverno più gelido, nell'inverno più inutile. Lo ha raccontato lui, del resto, quasi in apertura d'intervista. Ora aggiunge che vorrebbe dormire per svegliarsi quando i prati sono verdi, quando potrà correre, saltare, calciare a volontà... Gli dico buona notte e buona fortuna. Roma è buia.










Carlo Ancelotti ai tempi del Parma (a sinistra) e della Roma



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Carlo Ancelotti contadino, 1979
(dal "Guerin Sportivo")



Dal sito www.ilveromilanista.it

CARLETTO, IL PRINCIPE DEI NOSTRI
di Saverio Fiore

È la notte dei miracoli, la notte in cui le stelle stanno a guardare, ed anche se piove a dirotto, si stropicciano gli occhi davanti a cotanta bellezza esattamente come tutto il popolo milanista, è la notte in cui tutto può succedere, e lui dalla panchina come un condottiero consumato soffre e scruta con le mani unite dietro la schiena con tanto di rosario ed il consueto sopracciglio inarcato da doganiere zelante, è la notte dei miracoli, dicevamo, in cui tutto può accadere, perfino di dare una lezione di calcio al Manchester United che si permise di schernire e sbeffeggiare i giallorossi capitolini solo qualche settimana fa. Ti ho criticato, è vero, come molti tifosi ero sicuro che il capitolo con te fosse chiuso, che tutto fosse stato detto e che andavano percorse altre strade, sicuramente mi sono sbagliato e mi scuso per questo anche se molte cose andrebbero riviste. Certo la coppa non è ancora vinta ed è presto per festeggiare ed i ricordi volano a quella semifinale del 1989 lo stesso non avevamo ancora vinto, lo stesso San Siro brillava di luce propria e lo stesso giocammo un campionato infausto ma per quella notte tutto fu indimenticabile, Arrigo ti mise sulla fascia sinistra, perché mancava Evani, avevamo pareggiato all'andata e serviva una prova super e cosi fu. All'improvviso prendesti palla sulla sinistra ti accentrasti, saltasti uno poi due centrocampisti a dall'altezza dei 20 metri facesti partire un tracciante, un mix di potenza e precisione, Buyo, il portiere spagnolo, rimase all'oscuro (scusate la battutaccia) e non si accorse della bordata se non quando la palla aveva già gonfiato inesorabilmente la rete, fu l'inizio della festa e per quella sera verrà cancellato il blasone delle merengues, costruito sui nomi di Di Stefano, Puskas e Gento, e di colpo annichilito. Proprio quella serata fu il viatico per il tripudio in terra catalana, corsi e ricorsi storici, proprio come contro i Red Devils, ma tocchiamo ferro è tutta un'altra storia. Una volta c'era uno striscione della Sud che diceva che eri il cuore dei Commandos, arrivasti da noi dopo una vita in giallorosso nel 1987 con un invidiabile curriculum vitae, ma con un ginocchio malandato ed una età che faceva pensare a qualcuno che eri finito, invece, chissà perché questo ritornello si affaccia periodicamente nella tua carriera e quando sembra che sei arrivato al capolinea acquisti il biglietto per la corsa successiva, spesso ci si sbaglia su di te un po' come capita a quei giornalisti che quando ti nominano aggiungono una elle in più al tuo cognome.
Da quel giorno che hai indossato la casacca rossonera sei riuscito ad inanellare successi grandiosi e a piangere lacrime amare ma senza mollare mai, quando giocavi eri un po' Gattuso per la grinta ma anche un po' Pirlo nelle geometrie, da allenatore sei un Sacchi con un po' più di sagacia derivata dal fatto che il calcio lo hai masticato ad alti livelli anche da giocatore. Come quella volta contro la Juve al Meazza in cui segnasti un gol al volo dalla distanza che andò a morire all'incrocio alla sinistra del portiere e quando giocavi le prestazioni erano sempre dal sette in pagella in su. Da allenatore sei nostro dal 2001 facendo uno sgarro al Parma che ti aveva contattato prima di noi, ma al cuore non si comanda ed adesso ti tocca guidarci verso questa coppa, che hai vinto, unico in Europa, da giocatore ed allenatore nella stessa squadra, aiuta al meglio la squadra a capitalizzare al meglio ed a canalizzare la rabbia accumulata due anni fa, a trasformarla in qualcosa di immenso, fallo e ti adorerò per sempre, adesso che ci penso ti adorerei uguale. Sarà il 23 maggio come contro il Benfica nel 1990, corsi e ricorsi storici, ma tocchiamo ferro è tutta un'altra storia.
C'era una volta uno striscione nella Sud a te dedicato, c'era ma forse c'è ancora.

Calciatore dal 1987 al 1992
Presenze: 110
Gol: 10
Ha vinto 2 Scudetti ('87/'88) ('91/'92)
2 Coppa Campioni ('88/'89) ('89/'90)
2 Coppe Intercontinentale ('89) ('90)
2 Supercoppe europee ('89) ('90)
1 Supercoppa italiana ('89)

Allenatore dal novembre 2001
Ha vinto 1 Scudetto (2003-04)
2 Coppe Campioni (2002-03) (2006-07)
1 Coppa Italia (2002-03)
1 Supercoppa europea (2003)
1 Supercoppa italiana (2004)




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Cartolina di Carlo Ancelotti, stagione 1987-88



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(Archivio Magliarossonera.it)
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Carlo Ancelotti a Barcellona '89 con la Coppa dei Campioni



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Maggio 1989, Ancelotti esulta con la Coppa dei Campioni conquistata a Barcellona





Stagione 1987-88



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Luisa e Carlo Ancelotti in attesa del secondogenito Davide, maggio 1989. Luisa è scomparsa il 24 maggio 2021 a 63 anni
(by Giuseppe Pastore)



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Mondiali 1990: i tre milanisti Ancelotti, Baresi e Donadoni
(per gentile concessione di Gianni Righetto)


In Nazionale




Stagione 1990-91



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Paolo Maldini e Carlo Ancelotti, stagione 1990-91
(per gentile concessione di Gianni Righetto)
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Carlo Ancelotti, Paolo Maldini e Billy Costacurta
(per gentile concessione di Gianni Righetto)



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Stagione 1990-91, Fernando Dragani con Arrigo Sacchi e Carlo Ancelotti all'Istituto San Celso di via Paravia di Milano
(by Beniamino Fiore, cognato di Dragani)





In copertina di "Milan Squadra Mia"


"Forza Milan!", maggio 1992




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19 maggio 1992, amichevole Milan vs Brasile 0-1, partita di addio al calcio di Ancelotti.
Da sinistra, in piedi: Tassotti, Maldini, Gullit, Van Basten, Rijkaard, Antonioli. Accosciati: Costacurta, Fuser, Ancelotti, F. Baresi, Simone
Carletto mostra la targa donatagli dalla società rossonera. Al suo fianco, Franco Baresi ha in mano il gagliardetto del Brasile
(Sopra, dal "Guerin Anno" 1991-92, per gentile concessione di Enrico Levrini e Ferdinando Bruhin. Sotto, Archivio Magliarossonera.it)


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(Archivio Magliarossonera.it)


(Archivio Magliarossonera.it)


(Archivio Magliarossonera.it)





(Archivio Magliarossonera.it)


(Archivio Magliarossonera.it)


Ai tempi della Juventus
(Archivio Magliarossonera.it)





(Archivio Magliarossonera.it)


(da AcMilan.com)


(Archivio Magliarossonera.it)





(Archivio Magliarossonera.it)


(Archivio Magliarossonera.it)


(Archivio Magliarossonera.it)




CARRIERA DA ALLENATORE
STAGIONE SQUADRA SERIE POSIZIONE

1995-96

Reggiana

B

4^

1996-97

Parma

A

2^

1997-98

Parma

A

6^

1998-99

Juventus

A

5^

1999-00

Juventus

A

2^

2000-01

Juventus

A

2^

2001-02

Milan

A

4^

2002-03

Milan

A

3^

2003-04

Milan

A

1^

2004-05

Milan

A

2^

2005-06

Milan

A

3^

2006-07

Milan

A

4^

2007-08

Milan

A

5^

2008-09

Milan

A

3^

2009-10

Milan

A

3^




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28 maggio 2003, finale Champions League, Juventus vs Milan 0-0 (2-3 d.c.r.):
dopo il rigore della vittoria siglato da Sheva, Mister Ancelotti scatta dalla panchina e incontra l'abbracio di Seedorf



28 maggio 2003: festeggiamenti per la sesta Coppa dei Campioni: il Milan batte in finale la Juventus ai calci di rigore



Dal sito www.repubblica.it
29 maggio 2003

Le lacrime di Maldini. Inzaghi: "Annata straordinaria". E Galliani s'infuria davanti ai microfoni di Italia Uno
LA GIOIA DI CARLO ANCELOTTI. "IO PERDENTE? LA FESTA E' MIA"
Zambrotta: "Fa male perdere ai rigori"
MANCHESTER - Non ha più voce, Carlo Ancelotti. E' la notte della sua rivincita, dicevano che era un perdente, si porta a casa la Champions League nella serata più bella per il Milan. Juve ko nel tempio del calcio, all'Old Trafford: "E' una gioia immensa, abbiamo vinto meritatamente. I rigori? Non è una vittoria dimezzata, no, è lo stesso: va bene così" "Io perdente? Non mi interessa, dicano quello che vogliono. Adesso andiamo a festeggiare, poi domani si vedrà".
Arriva Paolo Maldini, quarta coppa dei campioni su sei finali disputate, che alza il trofeo. Ha pianto, il capitano, in campo: "C'era mia moglie, la mia famiglia. Io ho vinto tanto, ma questa è una partita che mi porterò a lungo dentro".
Filippo Inzaghi: "Annata straordinaria, per noi del Milan. Devo dire che dispiace aver vinto ai rigori: per la Juventus deve essere un dolore enorme, ma noi siamo stati bravi. E Dida veramente strepitoso sui calci di rigore".
Anche Galliani è felice. Ma, davanti al microfono di D'Aguanno (Italia Uno) e a una domanda su una stagione che, poteva essere fallimentare senza la Coppa, s'arrabbia di brutto: "Non capisco come si possa definire fallimentare una stagione in cui il Milan disputa la finale della Champions League, è in finale di Coppa Italia ed è terza in campionato. Queste cose mi fanno proprio incazzare... Eppure continuate tutti a dirle. Quindi la saluto e chiudo".
Prima, il vicepresidente rossonero aveva spiegato così la partita: "Il rigore di Schevchenko ha cambiato il destino del Milan per la prossima stagione. La lotteria dei rigori l'abbiamo vinta noi: non faremo i preliminari di Champions, giocheremo la Supercoppa a Montecarlo, andremo a fare l'Intercontinentale. E' una grande festa". E poi: "Ai rigori ero rosso in viso e l'ultimo non l'ho guardato. Mi sono girato verso il pubblico e quando l'ho visto scattare ho capito che Sheva non aveva sbagliato".
Ecco Marcello Lippi: "Cosa volete che vi dica? E' una partita nata male, malissimo, già con la squalifica di Nedved, poi, stasera, con gli infortuni di Tudor e Davids". "E' una cosa tremenda, perdere la terza finale - dice Lippi - un'amarezza enorme. La partita l' ha cominciata bene il Milan, poi siamo andati meglio, ma gli episodi negativi hanno segnato la nostra partita, condizionandola negativamente".
Della Juventus si presenta alla stampa, oltre a Lippi, solo Gianluca Zambrotta: "Stiamo male, ai rigori può capitare di tutto, è andata male: abbiamo pagato l'emozione e la concentrazione che è calata nel finale. Siamo tristi e lo sono soprattutto i compagni che sono alla terza sconfitta in una finale di Champions. La nostra stagione, comunque, rimane straordinaria: abbiamo vinto lo scudetto e stasera abbiamo dimostrato di essere una grande squadra".




Dal sito www.tgcom.it
2 maggio 2004

ANCELOTTI, FINALMENTE LO SCUDETTO. Dopo tre secondi posti, la prima gioia
Ora la vendetta contro i detrattori è definitivamente consumata. Carlo Ancelotti, con il primo scudetto da tecnico della carriera, ha bissato il successo della scorsa stagione in Champions League (anche la Coppa Italia in bacheca), togliendosi di dosso la scomoda etichetta di 'perdente', affibbiatagli dopo i due secondi posti con la Juventus, anche a livello nazionale. Una cavalcata trionfale quella del Milan verso il 17° scudetto, un ritmo impressionante e una costanza che nessuna squadra aveva mai avuto dall'introduzione dei 3 punti a vittoria.
I meriti di Carletto sono indubbi, ma il primo è stato quello di costruire una squadra camaleontica, capace, a seconda delle esigenze, di passare dallo schema con due attaccanti a quello con due trequartisti, un po' per necessità e altre volte per scelta. L'infortunio di Inzaghi e l'esplosione di Kakà, che si è rivelato il vero valore aggiunto della squadra rispetto alla scorsa stagione, lo hanno portato spesso a scegliere lo schema ad 'abete' (4-3-2-1), con Shevchenko unica punta. La capacità di cambiare in corsa è stata la vera forza dei rossoneri, come è accaduto nel derby di ritorno: 0-2 nel primo tempo con due trequartisti, 3-2 nella ripresa dopo l'ingresso di Tomasson. L'ambiente di Via Turati ha aiutato molto il tecnico, che si è sempre sentito a casa e protetto adeguamente. Probabilmente l'attacco più duro è venuto proprio dall'interno, quando il presidente Silvio Berlusconi ha 'imposto' le due punte come dogma. Sicuro della strada intrapresa, Ancelotti non si è lasciato intimorire e ha proseguito dritto per la sua strada, verso lo scudetto.
Il primo da tecnico, alla nona stagione su una panchina di club. Discepolo di Arrigo Sacchi, di cui è stato il secondo per tre anni ('92-'95), un'esperienza importantissima culminata con il secondo posto ai Mondiali di Usa '94, Ancelotti ha cominciato la carriera di primo allenatore nel 1995/96, alla guida della Reggiana in serie B. Quarto posto e immediata promozione in serie A. La prima squadra a individuare le grandi capacità dell'allenatore rossonero è stato il Parma, che nella stagione '96/'97 lo ha ingaggiato. I risultati non hanno tardato ad arrivare, visto che i ducali hanno conquistato il secondo posto alle spalle della Juventus campione d'Italia. Un exploit che l'anno dopo non venne ripetuto: 6° posto finale e addio Parma. Rimasto a spasso, il mister romagnolo ha saputo aspettare il suo turno e il giusto treno non è tardato a passare: alla 21° giornata della stagione '98/'99 prese il posto di Marcello Lippi alla Juventus, che si fece da parte, scherzi del destino, dopo una sconfitta con il Parma.
Per Ancelotti cominciò un periodo 'stregato': dopo il 5° posto della stagione in cui era subentrato in corsa, cominciò la maledizione del secondo posto, conquistato per 2 volte consecutive: clamorosa la rimonta subita dalla Lazio nel '99/'00, a causa dell'ormai maledetta e funesta domenica perugina. L'anno dopo il piazzamento alle spalle della Roma gli costò il posto a fine stagione.
Davanti a offerte poco allettanti (e a un altro anno di contratto con la Juventus in tasca), il tecnico decise di iniziare la stagione 2001/02 sulla panchina di.casa. La svolta, però, era ad un passo: in Via Turati si stufarono dopo 10 giornate dell'Imperatore Fatih Terim e lo chiamarono per la "detronizzazione", proprio mentre era ad un passo dal legarsi nuovamente al Parma. Ma il richiamo di casa fu troppo forte e Carlo non riuscì a dire no a Galliani e Berlusconi.












Fu la sua fortuna: quarto posto finale al primo anno, che è valso la qualificazione alla Champions League. Al primo anno da inizio stagione raccolse già i primi frutti, conquistando la Champions League nella finale di Manchester contro la Juventus dopo una cavalcata inarrestabile: a tratti la squadra sembrava incontenibile e giocava un calcio stellare. In campionato, però, le cose non andarono bene: dopo un girone d'andata al massimo, il Milan crollò in quello di ritorno, lasciando strada a Juventus e Inter, prima di prendersi la rivincita in terra inglese. Quest'anno, invece, la situazione si è ribaltata: a parte la Supercoppa Europea, conquistata ad agosto contro il Porto, Maldini e compagni hanno fallito l'obiettivo Coppa Intercontinentale e hanno 'steccato' in Champions contro il Deportivo La Coruna nei quarti. In campionato, però, la marcia è stata inarrestabile, con vittorie e spettacolo su tutti i campi, fino alla conquista dell'agognato scudetto. Complimenti Carletto...


ANCELOTTI: "UNO SCUDETTO MERITATO, NON ME NE RENDO ANCORA CONTO"
Carlo Ancelotti non trattiene la commozione dopo il trionfo del Milan ed il primo scudetto da tecnico: "Sono emozioni grandi - dice al termine della partita con la Roma - Ancora non me ne rendo conto. Uno scudetto meritato, credo. Ho gli occhi lucidi, perché sono commosso. Anche perché la pioggia mi fa venire in mente quella di Perugia... Credo che oggi si sia chiuso finalmente un cerchio. Abbiamo fatto un grande campionato. Credo sia giusto così".
Il tecnico romagnolo descrive così la domenica speciale e la vigilia dell'incontro che decideva la stagione: "E' una vittoria che va assaporata piano piano - ha detto - Abbiamo affrontato serenamente la partita, molto motivati e concentrati. Abbiamo perso n po' di coralità nel gioco nel finale, ma era naturale dal momento che avevamo il traguardo vicino ed eravamo tesi". Il tecnico non vede nessun neo nel campionato rossonero: "Quale partita rigiocherei? In campionato abbiamo fatto il massimo - prosegue - non giocherei nessuna gara, forse solo col Chievo in casa abbiamo mollato un po' e dopo l'eliminazione della Champions. la differenza l'abbiamo fatta vincendo gli scontri diretti".
Un trionfo che sdogana Ancelotti dall'etichetta di "perdente di successo": "Io adesso sono tra i grandi? Le vittorie di certo aiutano a stare meglio, però ero a posto con la coscienza anche quando ho preso l'acqua di Perugia, questa è meno acida e più dolce. Quella sconfitta ha bruciato per tanto tempo, da oggi non brucia più".




Luisa e Carlo Ancelotti all'Auditorium di
Milano alla premiazione degli Oscar del
calcio 2004, stagione terminata con la
conquista del 17° scudetto rossonero



Carlo Ancelotti festeggiato per la conquista dello Scudetto 2003-04




Dal sito www.grandecalcio.it

Fuori e dentro al campo. Farneticando un po'
CARLO ANCELOTTI
di Ambra Craighero

Se rimarrà fino alla fine del mandato (al 2007), rinnovato il 31 agosto 2004, con soddisfazione dei presenti sarà in termini di illustri confronti, la più longeva gestione, "alla faccia" dei due precedessori più blasonati: Arrigo Sacchi e Fabio Capello, alla guida del Milan. Carlo Ancelotti, coraggioso innovatore, asceta e contadino, un connubio di merende al sacco e caviale. Impossibile da raccontare, ma sotto quel "ciglio arcuato", fermentano idee tattiche in un certo senso rivoluzionarie. Ci scusi il sommo Arrigo, con la "montatura a goccia" e qualche altezzoso atteggiamento irridente, ma la farina di Ancelotti è genuina e il pane non è più duro per nessuno.
Da eccellente giocatore di Parma in serie C (dal 1976-1979) passa alla Roma (dal 1979-80 al 1986-87) dove vince uno scudetto con Falcao. Ha la fortuna di giocare con la mitica compagine giallorosa, artefice del secondo scudetto capitolino, atteso da ben quarant'anni. Al suo fianco ci sono: Di Bartolomei, Bruno Conti, Sebino Nela, Roberto Pruzzo ed in panchina il Barone Nils Liedholm. Vince anche quattro Coppe Italia. L'unica amarezza sportiva, la vive, da atleta nella finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool, da infortunato, infatti, non disputa la gara. Dal 1981 abbandona l'attività agonistica fino al 1983, in balia di fastidiosi e reiterati infortuni. Nonostante ciò, nella sua ultima stagione capitolina è ancora il capitano giallorosso, prima dell'approdo nella corte di Via Turati. Si trasferisce al Milan con le ginocchia da "riesumare" (dal 1987-1988 al 1991-1992) e milita nel "dream team", in compagnia di Marco Van Basten, Paolo Maldini, Mauro Tassotti, Ruud Gullit, Franco Baresi, e tutti gli altri campioni.
La felice parentesi milanista, di marca Sacchiana è la genesi del futuro allenatore: cocktail di innovazioni e sperimentazioni, che lo porterà a vincere tutto. Il film "La grande abbuffata" di Marco Ferreri, è un boccone per i canarini, al confronto. Nel 1992, in seguito a problemi di ordine fisico, lascia l'attività giocata ed inizia a "gattonare" come allenatore, vicino ad Arrigo Sacchi, in qualità di secondo e nel 1994, farà parte della spedizione americana, capitanata da un maestoso Roberto Baggio. Successivamente, si fa le ossa alla Reggina (1995), conquistando la promozione in serie A, raggiungendo il quarto posto, utile al proseguo nella massima serie.
L'anno successivo diventa l'allenatore del Parma, sotto la guida societaria della famiglia Tanzi e conquista, dopo una partenza a rilento, il secondo posto alle spalle della Juventus, che non tarderà ad ingaggiare, subentrando così, al dimissionario Marcello Lippi, a sua volta promesso sposo in Via Durini. Chiude la stagione con un quinto posto insperato, sotto la mole.
L'anno successivo, sfiora per un soffio lo scudetto, nell' acquitrino di Perugia. Per chi, ha memoria sportiva, rimane qualche perplessità. La dirigenza torinese, richiama al timone della "signora", Marcello Lippi e Ancelotti, nel 2003 approda al Milan, con un progetto davvero ambizioso: far coesistere giocatori dai piedi buoni, per cui, simili nelle caratteristiche in un "centrocampo a rombo", con Pirlo davanti alla difesa a dettar i tempi , con un unico "incontrista naturale" Gattuso. Decolla il Milan con un gioco entusiasmante, cosicché non tardano ad arrivare i consensi e i successi. Stabilisce il record nel girone a tre punti, portando il Diavolo a conquistare lo scudetto, con due giornate di anticipo. Ciò che stupisce, sono le sue idee che, inizialmente, possono sembrare bislacche a discapito di un equilibrio, che qualche volta vacilla, in nome di un calcio "champagne", ereditato concettualmente da Arrigo Sacchi, capace a suo tempo di sperimentare nuovi o "amarcord" tattici, già imposti (vedi il modello olandese), con il tentativo, peraltro riuscito, di "lucidare" le proprie convinzioni tattiche al servizio della espressione pura del gioco. In un certo senso, Ancelotti è un "filosofo della tattica" e un attento conoscitore dei meccanismi "oscuri", di tante lavagne studiate nei minimi dettagli, volte ad un atteggiamento tattico e mentale, in qualche modo, "avanguardistico".




23 maggio 2007: il Milan vince la sua settima Coppa dei Campioni





Luisa e Carlo Ancelotti con Katia e Davide, 1990
(Archivio Magliarossonera.it)



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Carlo Ancelotti su una panchina di Milanello, 1991-92
(per gentile concessione del M.C. Inossidabili)





Carlo Ancelotti a colloquio a Milanello con l'asso argentino Fernando Redondo,
acquistato dal Milan nel 2000 e rientrato in campo a seguito di un grave infortunio solo nel 2002





Katia, figlia di Carletto Ancelotti
(Archivio Gazzetta dello Sport)


Carlo Ancelotti con la famiglia
(da sito www.carloancelotti.com)





3 marzo 2007, Milan vs Chievo 3-1, Claudio Lippi intervista Carlo Ancelotti
(Foto Studio Buzzi)




Carlo Ancelotti a San Siro per la festa - Champions League 2007





Dal sito www.repubblica.it
19 marzo 2009 - di Gianni Mura

Colloquio con l'allenatore del Milan. La sua vita da ragazzo nella Bassa, il provino con l'Inter che lo scartò, i successi da calciatore e sulla panchina
ANCELOTTI A CUORE APERTO. "E NON DITE CHE SONO BUONO"
MILANO - "Mi chiamo Carlo Erminio, come mio nonno. Era piccolo e gli dicevano Carlino. In via Vallicella, a Reggiolo, stavo da dio. Il giorno più bello era quando si ammazzava il maiale. Mio padre Giuseppe faceva il mezzadro. Un terreno di 23 biolche mantovane, circa 8 ettari: grano, mais, vigna, barbabietole da zucchero, 10 mucche da latte, un po' di galline. Un trattore Fiat 21 cavalli, una falciatrice, se mancava un attrezzo lo si scambiava, tra contadini. Ricordo come fosse oggi quando arrivava il padrone. Davanti al mucchio di grano tracciava una riga col bastone: questo è mio, questo è tuo, diceva a mio padre. Queste sono mie, e prendeva regolarmente le galline più belle e grasse, e queste sono tue. Io andavo in bici, a 13 anni ho vinto i Giochi della Gioventù, a 12 mi sono rotto un braccio andando a sbattere contro il camioncino di un ambulante, ma mi piaceva di più il pallone".
"Quando mi chiedono dov'è Reggiolo io dico nella Bassa, vicino a Gualtieri, che almeno è famosa per Ligabue. Dopo le medie avrei voluto studiare Agraria, invece mi ritrovo a scuola di elettronica, che non mi piaceva. Ma ho seguito la maggioranza dei miei amici, l'ho fatto per la compagnia. Loro non volevano restare contadini, di qui la scelta. Morale: mi ritrovo perito elettrotecnico e non me ne po' fregà de meno". Come Rocco mescolava italiano e triestino e Bagnoli italiano, milanese e veneto, istintivamente Ancelotti infila nel suo italiano qualcosa di romanesco. Vogliamo chiarire la faccenda della panchina? "Io e Spalletti siamo amici, ma posso capire che si sia un po' risentito quando ho espresso il mio desiderio di arrivare, prima o poi, sulla panchina della Roma. Immagino che le radio romane gli abbiano tolto il fiato. Io a Roma mi sono trovato benissimo, è una città meravigliosa, si fa amicizia facilmente, c'è più calore non solo nell'aria. Milano è più chiusa di Roma e Torino è più chiusa di Milano, fuori dal campo a Torino non ho un amico. A Roma ne ho molti, quello che sento più spesso è Bruno Conti. A Milano ci vado il meno possibile e quando capito in ristoranti assurdi, pieni di gente finta, mi verrebbe da scappare. Per comodità, da giocatore abitavo a Legnano, da allenatore sto a Gallarate, va bene così. A Parma, che tanti vedono come un'isola felice, non c'è mai stato feeling né con la società né con la città. Non mi hanno mai apprezzato. Vero è che avevo una bella squadra: doveva venire Capello, arrivai io e trovai Crespo, Thuram, Veron, Chiesa, Zè Maria sbarcato al posto di Cafu, più un ragazzino in porta di cui il ds Sogliano continuava a dire: è un fenomeno, promuovilo titolare. Io a quei tempi tiravo bene in porta, cosa per cui devo dire grazie a Bruno Mora, mio allenatore nelle giovanili. E 'sto ragazzino, che era Buffon, mi bloccava quasi tutti i tiri".
"Chi era il mio idolo, da giovane? Eugenio Ghiozzi, che poi sarebbe Gene Gnocchi. Un 10 molto lento ma con una tecnica da brividi. Era famoso, nella Bassa. E poi bisogna dire che a quei tempi il calcio lo si ascoltava alla radio e c'era uno spezzone di partita, una sola, in tv. Mio padre tifava per la Fiorentina, non si sa perché, ma poi non ha avuto problemi a diventare di volta in volta tifoso del Parma, della Roma, del Milan, del Parma di nuovo, della Juve, di nuovo del Milan. Io stravedevo per Mazzola e Boninsegna, ero interista. Ricordo di avergli rotto le scatole per settimane perché mi portasse a vedere l'Inter. Il posto più comodo era Mantova. Doveva essere il '71, so che c'era Boninsegna. Arriviamo lì, tutto esaurito. Cancelli chiusi. Mi metto a piangere a dirotto fuori dal cancello, in genere funziona, ma lì c'era uno duro, mica facile intenerirlo. Ha resistito un tempo, l'Inter era sotto di un gol. Poi mi ha detto dai, passa. L'Inter ha vinto 6-1".
"All'Inter ho fatto un provino, quand'era presidente Fraizzoli. Hanno deciso che costavo troppo e hanno preso Beccalossi. Con l'Inter ho fatto il battesimo di San Siro, contro l'Hertha Berlino. A 19 anni mi ritrovo in spogliatoio con Anastasi, Altobelli, Bini, Canuti, roba da farsela addosso. Sono stato una settimana ad Appiano con Bersellini e il suo vice, Onesti. Ogni giorno mi pesavano, una tortura. Se resti, dovremo studiare una dieta per te, dicevano. Tra di me pregavo che mi scartassero. M'è andata bene".
"Con Bruno Mora, che era anche una bravissima persona, riconosco due altri maestri: Liedholm e Sacchi. Uno era stato un campione e l'altro un brocco. Questo Milan, credo che Nils lo allenerebbe meglio di me e Arrigo peggio. A Liedholm piaceva la tecnica, intepretava le partite non come distruzione dell'avversario ma come esaltazione delle doti dei suoi. Ha imposto la difesa a zona, non s'è mai stancato di insegnare calcio. Sacchi è stato un grandissimo maestro di tattica: difesa alta, pressing, allenamenti quasi più impegnativi delle partite. Quando la Roma giocava a Milano e a Torino, si partiva mercoledì a mezzanotte in vagone letto da Termini. Siccome per Nils era impossibile tirare mezzanotte, alle dieci di sera andava al Tiburtino, dove formavano il treno, e si metteva a cuccia. Tre giorni e rotti in ritiro all'Astoria di Busto Arsizio. Ci divertivamo da matti, giocando a carte, sparando cazzate. Oggi, dopo cena i giocatori spariscono tutti, ognuno in camera sua. iPod, PlayStation, pc, cellulari. Non l'ideale, per fare gruppo. Ma il tempo passa per tutti. Con un infortunio come quello di Gattuso, avevo una gamba come uno stecchino e per 100 giorni non ho potuto appoggiare il piede a terra, lui a 90 giorni dall'intervento corre e calcia, è quasi pronto".
"Il tempo passa anche per me. Agli inizi ero troppo sacchiano, vedevo solo il 4-4-2. Con Sacchi avevo raccolto enormi soddisfazioni, avevo paura di cambiare. Ho rifiutato Roberto Baggio perché, trequartista, non rientrava negli schemi. Discorso quasi uguale per Zola, messo in concorrenza con Crespo e Chiesa. Oggi non farei partire Zola e a Baggio direi: ti aspetto. Col tempo si acquistano più conoscenze. Alla Juve ho trovato Zidane e non ho ripetuto gli errori di Parma. Al Milan ho studiato il modo di far coesistere Pirlo, Seedorf, Rui Costa e Rivaldo. Il calcio attuale ha due punti fissi: un attaccante di peso e il ritorno del trequartista, di chi gioca tra le linee. Il mio punto fisso è la difesa a 4, da centrocampo in su si può fare di tutto".
"Ci sono cose che mi danno fastidio. Ancelotti è troppo buono? Ma quando? Se è il caso m'incazzo come una bestia, ma non vado a dirlo ai giornalisti. Ancelotti troppo aziendalista? Ma dove? A parte che vorrei vedere quanti dei miei critici andrebbero a sputtanare il loro datore di lavoro in tv, io al Milan ci sto bene, con alcuni giocatori ho un rapporto speciale, Maldini, Gattuso, Pirlo, e non patisco le osservazioni di Berlusconi. Quello che piace a lui lo so a memoria: vincere giocando bene. Non sempre si può. Ma devo dargli atto che le critiche le fa quando le cose vanno bene e quando vanno male è vicino alla squadra e all'allenatore. Sul fatto che arriviamo terzi non ho nessun dubbio, e voglio stare basso. Poi succederà quel che deve succedere, lo dico con la massima serenità".
Istruzioni per l'uso: quando Ancelotti è leggermente contrariato inarca un poco il sopracciglio sinistro. Se lo inarca un po' di più, è aria di tempesta. Non succede quando discutiamo del suo piatto preferito, il bollito. Lui ci vuole la mostarda e non gli piace il rafano, ma non litigheremo per questo. Di Ancelotti apprezzo il tasso di sincerità e di civiltà, ben superiore alla media dei suoi colleghi. Detto questo, parliamo dell'Africa.
"Ho fatto incazzare Halilhodzic dicendo che mi piacerebbe allenare la Costa d'Avorio ai mondiali. Mi piacerebbe sì, credo molto nel calcio africano, hanno giocatori eccezionali che non fanno squadra. Drogba, i due Touré, Kalou, Eboué, Zokora, bùttali via. Ai mondiali hanno perso di un solo gol con Argentina e Olanda e battuto la Serbia. Mi piace l'idea dell'Africa o forse vorrei essere più coinvolto con una Nazionale. Molto felice il mio esordio con gol, al Mundialito in Uruguay, con Bearzot. Nell'86 ero aggregato ma non ho giocato, nel '90 ero un comprimario, nel '94 ero assistente di Sacchi. Mi piacerebbe una bella, grossa fetta di torta".
"Dicono che somiglio a Hiddink, di faccia. E' vero, com'è vero che Hiddink è il collega che stimo di più, al mondo. Ma vorrei dire una cosa sugli arbitri italiani: fischiano troppo, anche Collina è d'accordo e ultimamente si stanno adeguando. A me piacciono Morganti, Rizzoli, Celi, Saccani. Non è possibile che tutti i contatti, in uno sport di contatto, siano falli. Invece, gli assistenti sono i migliori al mondo sul fuorigioco. Penso che Collina stia facendo bene, anche se in passato ho avuto discussioni con lui. Sono l'unico allenatore che ha espulso col cartellino rosso. Ero al Parma, partita con la Juve decisiva per lo scudetto. Contatto spalla a spalla tra Vieri e Cannavaro, rigore per loro. Bravo, bravo, sei proprio bravo, gli ho urlato. Espulso. Mi dice: dal labiale ho capito che mi davi del coglione. Non è vero, gli ho detto, quello l'ho solo pensato".




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(dal profilo facebook di Carlo Ancelotti)
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26 gennaio 2019, Milan vs Napoli 0-0: striscione della Curva Sud dedicato a Carlo Ancelotti, ora allenatore del Napoli



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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 10 giugno 2019)



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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 14 marzo 2020)



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28 novembre 2020, gli occhi di Carletto Ancelotti durante il minuto di silenzio in ricordo di Diego Armando Maradona



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(dalla "Gazzetta dello Sport" del 19 marzo 2021)



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14 giugno 2022, Carlo e Davide Ancelotti
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(da Sky Sport)




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28 maggio 2022, Carlo Ancelotti vince col Real Madrid la sua quarta Coppa dei Campioni da allenatore
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