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PREMESSA

di Sergio Taccone

 
In un secolo e due lustri di attività, il Milan ha vissuto tantissimi periodi di splendore e qualche fase caratterizzata da amarezze cocenti. Il 2009 è l’anno del trentesimo anniversario della conquista del decimo scudetto, storico traguardo raggiunto dal Milan, terza squadra italiana a fregiarsi della Stella sulle maglie. Il periodo più buio nella storia della società rossonera è, indubbiamente, il triennio 1980-82. Stagioni contrassegnate dall’onta di una doppia retrocessione in serie B: la prima a tavolino, per lo scandalo del calcio-scommesse, l’altra per demeriti sul campo.
In mezzo si colloca la conquista della Mitropa Cup, il trofeo meno in evidenza tra quelli che occupano l’affollatissima bacheca rossonera di via Turati, vinto a San Siro quattro giorni prima di sprofondare nuovamente nel purgatorio della cadetteria. Qui si esamina proprio quel periodo, i primi anni Ottanta, troppo frettolosamente rimossi da tanti «sedicenti» tifosi milanisti. Come ha affermato Davide Grassi nel suo strepitoso Rossoneri – Il manuale del perfetto casciavit, per la nuova generazione di tifosi è stato molto facile diventare milanisti con una squadra che ha vinto Coppe e campionati a ritmo pressoché continuo. Ma da qui a essere un «perfetto milanista» ce ne vuole e «prima di ottenere la laurea in milanologia è necessario sapere fino in fondo cosa si nasconde dietro la maglia a strisce verticali rossonere».
Alla base del dna del tifoso milanista c’è l’umiltà. Del resto il soprannome milanese casciavit, affibbiato ai tifosi del Milan, indica un soggetto che arriva dai quartieri popolari, ben diverso, per estrazione sociale, da quello interista o dall’aristocrazia dei gobbi juventini. Uno degli esami propedeutici per avere la laurea in milanologia è «amare allo stesso modo tutta la storia del Milan, anche quella meno nobile». Quindi chi si vergogna della serie B è un tifoso finto, di facciata, fasullo. Chi tende a cancellare la Mitropa Cup, non merita l’appellativo di vero supporter del Diavolo rossonero.
Nella galleria dei personaggi del triennio 1980-82 trovano posto i tecnici Giacomini, Radice, Galbiati e Castagner, l’attaccante scozzese Jordan, detto squalo, primo straniero approdato in maglia rossonera dopo la riapertura delle frontiere calcistiche italiane; un giovane (ma già fedelissimo) Franco Baresi, Collovati e Maldera, Antonelli (il Cruijff della Brianza), De Vecchi l’avvocato e Monzon Novellino (pilastri dell’undici titolare che conquistò il decimo scudetto nel 1979). E inoltre, Cuoghi il bombardino, il portiere Piotti e Mauro Tassotti, giunto dalla Lazio in cambio di Bigon e Chiodi.
Nell’anno del secondo campionato di serie B ci fu spazio anche per tre ex interisti: Canuti, Serena e Pasinato, passati in rossonero in cambio di Collovati, tra i migliori per rendimento nella stagione 1982-83. I primi anni Ottanta sono, inoltre, quelli del Mundialito Clubs, torneo che riporta i rossoneri a misurarsi con le grandi del calcio internazionale dopo stagioni caratterizzate da trasferte in anonimi campi di provincia della seconda divisione. Di quel periodo restano indelebili alcune sconfitte: il 3-0 di Taranto (7 dicembre 1980) e il 2-1 a San Siro contro la Cavese (1982), cavalli di battaglia per gli sfottò di interisti e juventini. Ma l’apice della delusione e del dramma sportivo rimane l’amarissima vittoria di Cesena del 16 maggio ’82. Una rimonta tanto strepitosa (da 0-2 a 3-2) quanto inutile a evitare la retrocessione.
«Solo chi cade può rialzarsi» e il Milan ha confermato la validità di quella frase, rialzandosi alla grande, vincendo scudetti e Coppe a iosa e diventando, nel 2007, il «club più titolato del mondo». Da tifoso di lungo corso ho scelto di rivivere il film dei primi anni Ottanta in cui, pur ancora bambino, la mia passione rossonera, già alle stelle, fu messa a durissima prova, con la squadra del cuore «declassata» in provincia prima della stagione della marcia del gambero che ci ricondusse subito in B. Tanti i ricordi belli rimasti nella mia memoria di tifoso milanista: il sorriso sdentato dello scozzese Jordan, le fughe sulla fascia di Pasinato, le parate di Piotti, il gol capolavoro di Antonelli contro il Cesena (per un’impresa salvezza, ahinoi, soltanto sfiorata) e Franco Baresi che solleva al cielo la Mitropa Cup, brodino caldo prima della doccia gelatissima della seconda retrocessione.
Festeggiai come un forsennato, quel mercoledì, per un trofeo ignorato da tutti ma pur sempre di rango internazionale, conquistato dopo tanti anni di astinenza1. Nei giorni seguenti mi recai spesso nella piccola parrocchia del mio paese, a pregare per la salvezza della mia squadra del cuore. Piansi lacrime amare al gol di Faccenda, maledicendo mille volte il portiere del Napoli. Il giorno dopo festeggiai il compleanno più triste della mia infanzia. Dopo quelle infauste stagioni, la mia passione per i colori rossoneri è uscita ancora più rafforzata. D’accordo, focalizzarsi solo su quel periodo, in 110 anni di storia milanista, è come scegliere, in una compilation dei Pink Floyd, Biding my time o Fat old sun pur avendo a disposizione successi di valore assoluto come Money, Wish you were here o Confortably Numb.
Mi capita spesso di ripensare a quegli anni, agli incontri tutti allo stesso orario che trasformavano i pomeriggi domenicali in un momento «sacrale», con «Tutto il calcio…» di Bortoluzzi e le partite «viste in radio» grazie a Enrico Ameri e Sandro Ciotti. Quel Piccolo Diavolo guardava Juventus e Inter quasi con timore reverenziale. Nella mia stanza campeggia ancora un poster che trovai all’inizio del 1981 all’interno del «Guerin Sportivo». Ritrae una formazione del Milan nella stagione del primo campionato in serie B. Un poster rimasto esposto in mezzo ad altri riguardanti le tantissime annate fastose e vincenti dell’era berlusconiana, quando il Milan, abbandonati i panni del Piccolo Diavolo, è tornato a primeggiare in Italia, in Europa e nel mondo.
Chi è passato dal periodo della grande tribolazione rossonera ha gioito di più nei lunghi cicli di trionfi che hanno scandito la storia del Milan dal 1988 in avanti. Tuttavia, rivedo spesso la foto, sbiadita dal tempo, della squadra del 1980 e non provo vergogna ma l’orgoglio di un vero tifoso rossonero. È quella la mia pergamena di laurea in milanologia.




Pubblicato sul quotidiano LIBERO

mercoledì 1° luglio 2009

di Claudio Brigliadori

 


Il “Piccolo Diavolo” degli anni Ottanta: iella, disastri e serie B

Il quinto posto, la Coppa Uefa, i derby persi, i campioni che se ne vanno e il “ridimensionamento”. Per i milanisti nati negli anni Ottanta, quelli di oggi sono giorni disastri. Chi invece tra 1980 e 1983 era in curva a San Siro, sa quali sono le vere disgrazie per un tifoso. La serie B, per esempio, in cui fu spedito il Milan solo un anno dopo lo scudetto della stella, condannato dal calcioscommesse. Il ritorno in A e la pronta ridiscesa agli inferi. Le partite con la Sambenedettese ed il Taranto, la sconfitta in casa 1-2 con la Cavese, mentre Juventus, Inter e Roma dominavano la scena e sfottevano. Di questo, e di molto peggio, tanti sostenitori rossoneri avrebbero fatto a meno. Altri, però, riescono a sorriderne.

È il caso di Sergio Taccone, 36enne giornalista siciliano collaboratore di Libero e (soprattutto) milanista da sempre. Nelle 98 pagine del suo “Quando il Milan era un Piccolo Diavolo” (ed. Limina, 18 euro, prefazione di Ariel Feltri) non c’è una riga di disappunto. I tre anni più bui della storia del club di via Turati, tra crisi societarie e tecniche, retrocessioni e delusioni, vengono rivissuti con dovizia di particolari ed aneddoti e un pizzico di affetto giovanile.

Scorrono i nomi di tanti protagonisti misconosciuti, da Battistini a Icardi, da Jordan a Piotti e Pasinato. Fa effetto leggere di migliaia di tifosi invadere il campo di San Siro per celebrare la vittoria della Mitropa Cup contro il Vitkovice, tre giorni prima di quel Cesena-Milan del 1982 che avrebbe condannato il Diavolo alla sua seconda B: «Un ricordo - ammonisce Taccone - che ci deve servire per non assuefarci alle vittorie». Nessun pericolo, a giudicare dalle ultime vicissitudini. Ma quante differenze, per esempio, tra la partenza di Kakà e la scelta di Franco Baresi di restare al Milan, nonostante le due retrocessioni: «Franco allora rifiutò la Sampdoria e i miliardi di Mantovani - commenta l’autore - Pensavo che Kakà dopo aver detto no al Manchester City sarebbe rimasto e invece ha voluto andare al Real. Ho provato molta amarezza perché era una bandiera». Allora, in quel Piccolo Diavolo, non tutto era da buttare.

«Soprattutto i tifosi, sempre vicini alla squadra nonostante i risultati pessimi. Oggi c’è un’aria di smobilitazione, i sostenitori sono insofferenti e vogliono solo vincere. I milanisti irriconoscenti che contestano la società sono quelli stessi che si vergognano di ricordare la B».




Recensione di LibriDine: L’Amarcord Calcistico di Sergio Taccone, Quando il Milan Era un Piccolo Diavolo (tratto da siracusanews.it)

di Angelo Orlando Meloni

 

Fa un gran bene leggere Quando il Milan era un Piccolo Diavolo, saggio di storia e cultura calcistica scritto dal giornalista Sergio Taccone. Fa bene perché in un paese che ha smaltito il razzismo che serpeggia negli stadi come il dopo-sbronza di un alcolista che si illude di non bere tutti i giorni (pensiamo ai fischi e ai cori contro un ragazzo nato a Palermo che risponde al nome di Mario Balotelli); perché in quest’italietta dove il campanilismo è degenerato nella guerriglia e l’omaggio a Paolo Maldini si è trasformato nella messa in scena di un familismo amorale curvesco e autolesionista, un libro del genere è come una boccata d’aria fresca.
Sergio Taccone si professa tifoso milanista sfegatato, innamorato di calcio, o forse malato, direbbero i nemici della pedata atletica. Ma è anche un giornalista (in bilico tra cronaca rigorosa e passione calcistica) alle prese con la stagione più cupa della storia rossonera. All’inizio degli anni Ottanta, con gran giubilo di interisti, juventini e compagnia bella, il Milan ci regalò infatti l’incredibile doppia retrocessione in serie B, nel 1980 a causa dello scandalo relativo alle calcio-scommesse, l’altra maturata sul campo. La dice già lunga sull’indole di noi italiani il fatto che la prima delle due retrocessioni sia sentita come meno infamante della seconda, laddove sarebbe possibile sostenere ben altro. Ciò che più conta ora osservare è però che tra le due retrocessioni il Milan ebbe la (s)ventura di vincere la famigerata Mitropa Cup, trofeo miserrimo e svalutato, coppetta riservata alle squadre di B, e come tale indegna della bacheca del club più titolato del mondo. Ma perché relegare nell’oblio una vittoria che è la chiave per leggere significativamente una storia fatta di cadute e risalite, coronate dai successi clamorosi degli ultimi vent’anni? C’è qualcosa di sbagliato nella rimozione, di poco saggio, di… poco sportivo. Sergio Taccone, puntuale e ispirato nel dedicare il suo libro «a quanti credono ancora che il calcio sia soltanto un gioco», allo stesso tempo ha offerto a tutti noi, milanisti, interisti, juventini, semplici appassionati, agnostici e infedeli, uno spunto di riflessione sui valori della sportività del quale il Paese ha un dannato, dannatissimo bisogno.




Recensione di Banda Casciavit (tratto da bandacasciavit.splinder.com)

 

"Quando il Milan era un Piccolo Diavolo" di Sergio Taccone (Limina edizioni) racconta un'epoca che, per chi è cresciuto col Milan berlusconiano, potrà sembrare quasi fantascienza, ma per chi scrive questa recensione quegli anni hanno significato le prime partite allo stadio e l'innamorarsi perdutamente di quei due colori... Anni di San Siro gremito, di curva in grande spolvero, i primi anni da Capitano del Capitano, "Eccezzziunale... veramente!", Joe Jordan "The Shark", la Mitropa Cup, una maglia bellissima e tante tante emozioni. Tutto questo e molto altro nel libro di Taccone, indispensabile perchi quegli anni se li ricorda, ma pure per chi era troppo giovane o nemmeno nato, per ricordarsi che non esistono solo Coppe dei Campioni e sponsors da esibire come trofei, ma che il glorioso nome di una squadra viene tenuto alto soprattutto dalla Comunità di persone che ruota intorno ad essa.
PS: permetteteci un piccolo momento di autocelebrazione; tra le fonti del libro è citato anche il sito di Banda Casciavìt.




Recensione dal blog "Letteratura Sportiva" (tratto da sportvintage.blogspot.com)

di Jvan Sica

 

Il tifoso scrittore può lamentarsi, esultare, deridere, piangere (nel doppio senso di disperarsi e gufare), fare nostalgia a buon mercato. I libri che seguono una sola emozione non mi piacciono. Premettendo tutto ciò, il libro di Sergio Taccone, “Quando il Milan era un piccolo diavolo”, mi piace e tanto. La capacità di Taccone in questo libro è stata quella di sfiorare un po’ tutta la scala armonica delle emozioni tifose, senza abbandonarsi a nessuna, senza farsi vincere da uno stile troppo zuccheroso (ricordando il passato angusto) o peggio ancora orgoglioso (del tipo: “Io c’ero quando voi non c’eravate).
Il tifoso vive la sua squadra come vuole, non c’è un modello o una condicio sine qua non, la squadra vive il suo tempo ed ha i suoi alti e bassi, così come il tifoso che emerge e viene sommerso dagli eventi della sua piccola storia. Oltre a scrivere da tifoso, Taccone è anche giornalisticamente molto attento a quegli anni, quasi del tutto dimenticati se non nelle tirate contro il tempo canaglia e negli sfottò da bar, andando a scavare in quell’inizio anni ’80 milanista, pieno di sorprese e inganni, speranze e disillusioni, voglia di ritornare in troppo poco tempo una squadra da rispettare.
Taccone è sempre vicino alle vicende del campo e societarie di quegli anni, non se ne allontana per fare spenta retorica da “siamo solo noi”, ma accompagna il lettore in un bosco intricato e fitto in cui pochi ad oggi hanno messo davvero becco, più felici e contenti di scrivere una nuova riga sugli Invincibili. Io c’ero in quegli anni ma è come se non ci fossi, troppo piccolo per ricordare veramente e non per riflesso; per questo leggere di quei calciatori, con le loro parole in presa diretta è un plus niente male. Farsi buttare poi nella cronaca vissuta attraverso le parole di gente come Alfio Tofanelli, direttore di “Tutto B” (perché l’editoria sportiva italiana è morta?), Gualtiero Zanetti, il David Messina di “Forza Milan”, Sebastiano Vernazza è un momento da gustare con calma.