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1978: UN ANNO, TRE PAPI
di don Roberto Zappino

Se la prima parte del 1978 ha avuto al centro della cronaca la strage di via Fani, il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro, l'estate e l'inizio dell'autunno sono stati interessati da un fatto non inedito ma tuttavia decisamente (e proverbialmente) raro: il succedersi di tre papi in poco più di due mesi.
La sera del 6 agosto 1978, Festa della Trasfigurazione, concludeva il suo pellegrinaggio terreno Paolo VI, (al secolo Giovan Battista Montini, nato in provincia di Brescia nel 1897, eletto Papa nel giugno 1963).
Era stato il Papa che aveva portato a termine il Concilio Vaticano II (voluto e iniziato da Papa Giovanni XXIII) e che aveva dovuto affrontare la stagione bella ma anche tumultuosa del dopo Concilio. Paolo VI è stato anche il primo Pontefice (dopo San Pietro, ovviamente) a visitare la Terra Santa (1964), il primo a parlare alla Nazioni Unite (1965) e a visitare i cinque Continenti: Pellegrinaggio in India, 1964; Viaggio Apostolico ad Istanbul, Efeso e Smirne, 1967; Pellegrinaggio Apostolico a Bogotà, 1968; Pellegrinaggio in Uganda, 1969; Pellegrinaggio in Asia Orientale, Oceania e Australia, 1970.
La primavera del 1978 per Papa Paolo VI, era stata particolarmente pesante. Le condizioni fisiche del Pontefice ottantenne non erano particolarmente buone, come traspare dall'incipit del suo messaggio 'Urbi et orbi' in occasione della sua ultima Pasqua, il 26 marzo 78: "Noi raccogliamo in questo momento quanto ancora ci resta di umana energia e quanto ancora ci sovrabbonda di sovrumana certezza per fare a voi eco beatissima all'annuncio che attraversa e rinnova la storia del mondo: Cristo è risorto! (…)"
Il fatto, però, che sconvolse tutti e che coinvolse molto anche Paolo VI (e che forse ne minò definitivamente la salute) fu il rapimento e l'uccisione dell'onorevole Aldo Moro, suo amico personale.
Nella domenica successiva all'eccidio di via Fani, il 19 marzo, domenica delle Palme, Paolo VI, convalescente, non presiede la concelebrazione eucaristica, ma non fa mancare la sua parola di conforto, di incoraggiamento, di esortazione alle decine di migliaia di giovani che gremiscono il sagrato della Basilica, dapprima nel messaggio letto durante la Santa Messa dal Cardinale Vicario Ugo Poletti, e poi nel breve discorso rivolto direttamente ai presenti a mezzogiorno, dalla finestra dell'appartamento. Tra l'altro nel messaggio si legge: "(…)Siamo infatti ancor tutti sconvolti, turbati e sgomenti perché ancora una volta le forze disgregatrici della società hanno colpito con freddezza e cinismo. Giorni fa, cinque cittadini, che con il loro onesto lavoro si guadagnavano da vivere, sono stati barbaramente trucidati. Un'alta personalità politica è stata rapita in aperta sfida allo Stato. Al vile ed efferato comportamento degli assassini anonimi voi rispondete oggi con la vostra massiccia presenza di cattolici, che rifiutate qualsiasi tipo di violenza e proclamate il rispetto e l'amore universale.(…)"
E', però, passata alla storia la sua lettera ai terroristi delle BR, datata 21 aprile, in cui chiedeva con grande forza eppure con mitezza la liberazione dello statista:

"Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro. Io non vi conosco, e non ho modo d'avere alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente, profittando del margine di tempo, che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciata contro di lui, Uomo buono ed onesto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza civile. Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi, e a titolo del tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo. Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l'onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità, e per causa, che io voglio sperare avere forza nella vostra coscienza, d'un vero progresso sociale, che non deve essere macchiato di sangue innocente, né tormentato da superfluo dolore. Già troppe vittime dobbiamo piangere e deprecare per la morte di persone impegnate nel compimento d'un proprio dovere. Tutti noi dobbiamo avere timore dell'odio che degenera in vendetta, o si piega a sentimenti di avvilita disperazione. E tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa. Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova."
Purtroppo, come sappiamo, questo accorato appello non venne accolto. Il 26 agosto (dopo solo venti giorni di 'interregno') e già al secondo giorno di Conclave, viene eletto a succedere a Paolo VI Giovanni Paolo I (al secolo Albino Luciani, nato in provincia di Belluno nel 1912). Era stato vescovo di Vittorio Veneto dal '58 al '69 e poi patriarca di Venezia dall'inizio del '70. Non nascose mai la sorpresa e la preoccupazione per quella elezione. Nel radiomessaggio del 27 agosto possiamo leggere, tra l'altro: "Chiamati dalla misteriosa e paterna bontà di Dio alla gravissima responsabilità del Supremo Pontificato, inviamo a voi il Nostro saluto (…) Abbiamo ancora l'animo accasciato dal pensiero del tremendo ministero al quale siamo stati scelti…" Già il nome che scelse diceva la sua intenzione di continuare l'azione dei due ultimi illustri suoi predecessori (Giovanni XXIII e Paolo VI) di cui umilmente ammetteva di non avere il carisma. Questo Papa nei suoi 33 giorni di pontificato ha lasciato un immagine di semplicità e insieme di grandezza d'animo, ed è universalmente ricordato come 'il Papa del sorriso'. Era conscio di trovarsi ancora in piena 'guerra fredda', un periodo in cui dittature e conculcamento dei diritti umani erano particolarmente diffusi, e il Medio-Oriente come al solito 'caldo'. Eppure qualche spiraglio di pace si apriva, rappresentato dall'incontro a Camp David tra il Presidente egiziano Sadat, il Primo Ministro israeliano Begin e il Presidente degli Stati Uniti Carter, nelle vesti di padrone di casa e mediatore. Nei giorni in cui si svolgeva l'incontro Papa Luciani, all'Angelus domenicale del 10 settembre disse ai fedeli riuniti in Piazza S.Pietro:
"A Camp David, in America, i Presidenti Carter e Sadat e il Primo Ministro Begin stanno lavorando per la pace nel Medio Oriente. Di pace hanno fame e sete tutti gli uomini, specialmente i poveri che nei turbamenti e nelle guerre pagano di più e soffrono di più; per questo guardano con interesse e grande speranza al convegno di Camp David. Anche il Papa ha pregato, fatto pregare e prega perché il Signore si degni di aiutare gli sforzi di questi uomini politici. Io sono stato molto ben impressionato dal fatto che i tre Presidenti abbiano voluto pubblicamente esprimere la loro speranza nel Signore con la preghiera. I fratelli di religione del Presidente Sadat sono soliti dire così: " c'è una notte nera, una pietra nera e sulla pietra una piccola formica; ma Dio la vede, non la dimentica ". Il Presidente Carter, che è fervente cristiano, legge nel Vangelo: " Bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato. Non un capello cadrà dalla vostra testa senza il Padre vostro che è nei cieli ". E il Premier Begin ricorda che il popolo ebreo ha passato un tempo momenti difficili e si è rivolto al Signore lamentandosi dicendo: " Ci hai abbandonati, ci hai dimenticati! ". " No! - ha risposto per mezzo di Isaia Profeta - può forse una mamma dimenticare il proprio bambino? ma anche se succedesse, mai Dio dimenticherà il suo popolo ".(…)"
Questo incontro si concluse positivamente (gli accordi di Camp David, appunto), valendo il Nobel per la Pace ai due leaders medio-orientali. L'auspicio e la preghiera del Papa (e non solo) erano stati esauditi.
La notte tra il 27 e il 28 settembre si spegneva improvvisamente dopo soli 33 giorni di pontificato. Il successivo 16 ottobre, veniva eletto a succedere a Giovanni Paolo I, Karol Wojtila, 58 anni, cardinale di Cracovia, primo Papa non italiano dopo oltre quattro secoli, che assumeva il nome di Giovanni Paolo II. Quel giorno aveva inizio un pontificato a dir poco straordinario che tanta parte avrebbe avuto nella successiva storia dell'Europa e del mondo. Quest'uomo, pur segnato da tempo pesantemente dalla sofferenza e dalla debolezza fisica ancora oggi non cessa di essere, per milioni di fedeli (e non solo), un punto di riferimento, un motivo di speranza e il più autorevole tra 'i costruttori di pace'.




















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ALDO MORO, MORTE DI UNO STATISTA
di Paolo Benetollo

Per 55 lunghi e terribili giorni ,il paese,le istituzioni e la famiglia dell'Onorevole Moro vivono un dramma collettivo,in un alternarsi continuo di false speranze e disillusioni. Ma l'esito finale del sequestro in qualche modo è già scritto sin dall'agguato di via Fani. La logica delle Brigate rosse è quella dello scontro totale: i cinque morti che i terroristi hanno prodotto non possono non pesare su qualsiasi trattativa con lo stato. E lo stato , la sua classe politica, reagiscono con fermezza o almeno con quello che sembra immediatamente un muro contro muro . Con i brigatisti non si tratta. Nel frattempo le confederazioni sindacali proclamano uno sciopero generale, mentre sono innumerevoli le prese di posizione contro la strage e i suoi autori. Il paese si mobilita, la classe politica fa quadrato. Le ricerche appaiono immediatamente difficili: il commando che ha sequestrato Moro ha pianificato l'operazione in maniera esemplare, o almeno è quello che all'epoca si crede. Subito dopo l'agguato, le tre auto (la 128 blù,quella bianca e la 130) hanno raggiunto via Casale De Bustis, subito dopo via Massimi. Di qua in poi la ricostruzione è affidata unicamente ai brigatisti che saranno catturati in seguito: Morucci dichiara che in piazza madonna del Cenacolo ad attendere l'ostaggio c'era una Dyane (Germano Maccari dirà una Amy 8) e un furgone, nel quale Moro viene trasferito,per poi essere successivamente rinchiuso in una cassa. Di qua raggiungerà la sua prigione, in via Montalcini 8,interno 1. Ad attenderlo c'è Anna Laura Braghetti, che sarà la sua carceriera fino al giorno dell'esecuzione. L'appartamento l'aveva acquistato quest'ultima, intestandoselo.
Per 48 ore le Br non danno notizie: l'attesa è spasmodica. Poi, il 18 marzo, ad un giornalista del Messaggero, Maurizio Salticchioli, arriva una telefonata anonima. Una voce maschile avvisa l'uomo che in largo Argentina, presso il sottopassaggio, c'è una busta rossa. Il giornalista si reca nel posto indicato, senza avvertire la polizia, e sopra una fotocopiatrice trova la busta indicata. All'interno c'è una foto Polaroid di Moro, con 5 copie del "Comunicato n. 1". La foto ritrae Moro in camicia, con alle spalle il drappo con la stella a cinque punte e la scritta Brigate rosse.
E' vivo. Non ci sono dubbi. Un volto che appare sereno, nonostante la terribile esperienza. Un sorriso enigmatico, forse ironico sul viso. Ma anche tristezza.
Nel frattempo vengono ritrovate in via Licinio Calvo le auto usate per il rapimento e l'agguato. Alla guida di una delle auto c'era Franco Bonisoli, che ricorda (interrogato da Zavoli durante la trasmissione La notte della repubblica):
"Subito dopo, il gruppo di fuoco si sciolse; ciascuno prese una strada diversa. Quando e come lasciò la capitale? "
"Portai la 128 in via Licinio Calvo dove si era stabilito di abbandonarla. Scesi una scalinata. .. questa via finisce in una lunga scalinata. Presi un autobus che mi portava alla stazione Termini e da lì il treno per Milano.
"Ebbe la sensazione, attraversando la città, che la notizia fosse già corsa? Che la gente sapesse? " Si perché, non mi ricordo adesso in quale zona, le automobili della polizia passavano a sirene spiegate... poteva essere anche per altre cose, ma noi presupponevamo che si recassero in via Fani. Mentre la polizia rinviene le auto, sono in corso i funerali degli agenti trucidati, in un'atmosfera di grande commozione. Contemporaneamente Moro è vigilato dai suoi carcerieri: la Braghetti, Mario Moretti ( che conduce gli interrogatori ),Prospero Gallinari e Germano Maccari.
Dalle dichiarazioni della Braghetti oggi sappiamo che Moro visse la sua prigionia con dignità, scrivendo moltissimo, e assoggettandosi alle rigide regole dei suoi carcerieri. Rispondeva agli interrogatori con tranquillità, dedicando il suo tempo restante alla stesura di lettere per l'esterno o alla compilazione del suo memoriale, che verrà rinvenuto in forma incompleta nel corso di una perquisizione a Milano, in via Montenevoso, dagli uomini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il governo vara nuove leggi: la più importante avrà un effetto decisivo nella lotta contro il terrorismo. E' la legge che obbliga i proprietari di appartamenti ed immobili di comunicare alla Pubblica sicurezza, entro 48 ore, i nominativi degli affittuari e degli acquirenti.
Il 29 marzo arrivano 2 lettere di Moro: sono indirizzate alla moglie Eleonora e al ministro degli interni, Francesco Cossiga. In queste lettere Moro ipotizza , per la prima volta, uno scambio di prigionieri per la sua liberazione. Tra i politici ci si interroga sullo stato mentale del prigioniero. Sono in molti a credere che lo statista, sottoposto a dura coercizione, abbia poca lucidità o che, anzi, sia ormai in totale balia dei suoi carcerieri, tanto da essere diventato una sorta di manichino senza volontà propria. E' chiaramente un errore: perché Moro è lucido, lucidissimo. E inizia ad incalzare sempre più, con la sua logica stringente, avvisando che la sua morte non può portare nessun vantaggio per il paese. Continua anche lo stillicidio delle dichiarazioni dei brigatisti, affidati a comunicati in cui si analizza, con la consueta verbosità, la situazione del paese, in una logica estremamente settaria e poco rispondente alla realtà. L'attesa si fa sempre più angosciosa.
Il 18 aprile c'è un colpo di scena. In via Gradoli la signora Damiano chiama i Vigili del fuoco. Nel suo appartamento c'è un'infiltrazione d'acqua causata dall'appartamento superiore. I Vigili arrivano e si accorgono immediatamente che c'è qualcosa di strano. Un rapido sopraluogo e il capo dei pompieri decide che è il caso di chiamare la polizia. Perché l'appartamento è una base delle BR. E qua accade l'incredibile. La polizia arriva, ma non in segreto. Arriva con le sirene spiegate, e poco dopo in via Gradoli c'è tanta gente quanta potrebbe essercene in una sagra paesana. E così si perde l'occasione di mettere sotto sorveglianza il covo. All'interno del quale vengono rinvenute armi,esplosivi,carte d'identità false,divise dell'aeronautica,ricetrasmittenti e la targa della 128 che tamponò l'auto di Moro. A causare l'infiltrazione è una scopa "appoggiata imprudentemente"nella vasca da bagno, con il sifone dell'acqua orientato su di essa. Distrazione? O più semplicemente qualcuno ha voluto far cadere la base BR? Chi?
La risposta ancora oggi è vaga: di sicuro la versione di Moretti, ovvero una distrazione della Balzerani, non regge. Viceversa l'ipotesi che giovi a qualcuno è più plausibile. E quel qualcuno non può essere altri che un'emanazione della regia occulta che sin dall'organizzazione del sequestro rimase prudentemente nell'ombra. E' un dato di fatto storicamente accertato l'influsso sulle indagini di funzionari dei servizi segreti affiliati alla loggia segreta massonica Propaganda 2, o P2, come sarà definita in seguito, e i cui elenchi si riveleranno una miniera di informazioni, causando un terremoto politico senza precedenti. Un altro episodio degno di menzione vede la partecipazione di Romano Prodi. Il futuro presidente della UE partecipa ad una seduta spiritica, nel corso della quale gli "spiriti" di La Pira e De Gasperi rivelano ai presenti, con il classico sistema del piattino, che Moro potrebbe essere prigioniero a Gradoli. Della cosa vengono informati gli inquirenti, che puntano le loro indagini sul paesino di Gradoli, dimenticando la cosa più ovvia: cercare su uno stradario via Gradoli, a Roma, e non nel paesino della provincia.
A parte la tavoletta degli spiriti ( fù probabilmente un elemento dell'autonomia a passare l'informazione ad un presente, e per non smascherarlo si utilizzò l'espediente della seduta spiritica), le indagini non approdano a nulla. Il 18 aprile è anche una data cruciale per un altro grave motivo: un comunicato delle BR ( il n. 7) annuncia la morte di Moro,avvenuta mediante suicidio, e indica nel lago della Duchessa il luogo dove cercare il corpo. Scattano le ricerche. E' una beffa organizzata ai danni sia della polizia che delle BR.L'autore è uno strano personaggio, uno della banda della Magliana, Tony Chichiarelli, che finirà ammazzato misteriosamente qualche anno dopo. Un'altra storia dai contorni oscuri e sfuggenti. Nel frattempo si moltiplicano gli incontri, gli appelli per trovare una soluzione: Paolo VI, Kurt Waldheim, segretario dell'Onu, Arafat, cercano di fare qualcosa. Ma non accade nulla, e Moro continua la sua battaglia disperata dall'interno della "prigione del popolo". Scrive lettere a tutti, da Zaccagnini ad Andreotti, al presidente Leone a Cossiga; ma anche alla moglie, la sua dolcissima "Noretta",rimanendo tragicamente inascoltato. Si arriva così al 30 aprile, quando, verso le 16,30, arriva una telefonata a casa Moro:

"Senta, io sono uno di quelli che ha qualcosa a che fare con suo padre. Devo farle un'ultima comunicazione. Noi facciamo questa telefonata per puro scrupolo, perché suo padre insiste nel dire che siete stati un po' ingannati e probabilmente state ragionando su un equivoco. Finora avete fatto tutte cose che non servono assolutamente a niente. Noi crediamo invece che ormai i giochi siano fatti e abbiamo già preso una decisione. Nelle prossime ore non potremo far altro che eseguire ciò che abbiamo detto nel comunicato n. 8. Quindi crediamo solo questo, che sia possibile un intervento di Zaccagnini, immediato, e chiarificatore in questo senso; se ciò non avviene, rendetevi conto che noi non potremo far altro che questo. Mi capisce? Mi ha capito esattamente? "
"Sì, l'ho capita benissimo. "Ecco, e quindi è possibile solo questo; lo abbiamo fatto semplice- mente per scrupolo, nel senso che, sa, una condanna a morte non è una cosa che si possa prendere così alla leggera neanche da parte nostra. Noi siamo disposti a sopportare le responsabilità che ci competono e vorremo appunto... siccome la gente crede che non siete intervenuti direttamente perché mal consigliati... "
"Ma noi abbiamo fatto quello che abbiamo potuto fare, che ci lasciano fare, perché ci tengono proprio prigionieri..."
"No, il problema è politico, quindi a questo punto deve intervenire la Democrazia cristiana.
Abbiamo insistito moltissimo su questo, perché è l'unica maniera per arrivare eventualmente a una trattativa. Se questo non avviene, mi ascolti... guardi, non posso discutere, non sono autorizzato a farlo, devo semplicemente farle questa comunicazione. Solo un intervento diretto, immediato e chiarificatore, preciso, di Zaccagnini, può modificare la situazione; noi abbiamo già preso la decisione, nelle prossime ore accadrà l'inevitabile, non possiamo fare altrimenti. Non ho nient'altro da dirle." A parlare è Mario Moretti. La situazione appare ormai disperata. Moro scrive ancora. La sua lettera alla DC è piena di angosciata consapevolezza. Con essa chiama in causa come correi l'intero gruppo dirigente, senza esclusione. Scrive anche una lettera triste, drammatica, alla compagna di una vita, Eleonora. Un testamento spirituale. Il dramma volge all'epilogo. Nella prigione del popolo Moro viene sbarbato, vestito. Gli dicono che stà per essere liberato. Lo portano giù nel garage. Lo fanno accomodare nel bagagliaio. Moretti lo copre, poi punta la mitraglietta Skorpion e spara. Da distanza ravvicinata. Il mitra si inceppa, e lui usa la pistola. Il corpo esanime giace nella Renault 4 rossa. Il dramma si è compiuto. Per depistare le indagini, i BR mettono della sabbia nel risvolto dei pantaloni, coprono con un telo il corpo e trasportano l'auto e il suo macabro carico in via Caetani, dove verrà rinvenuto in seguito alla telefonata che Morucci fa a casa del professor Tritto, amico di Moro.
"E il professor Franco Tritto?"
Chi parla?"
Il dottor Nicolai."
Chi, Nicolai?"
È lei il professor Franco Tritto?"
"Sì, ma io voglio sapere chi parla. "
Brigate rosse. Ha capito?"
Sì."
Adempiamo alle ultime volontà del presidente comunicando alla famiglia dove potrà trovare il corpo dell' onorevole. Aldo Moro. Mi sente?"
Che devo fare? Se può ripetere..."
Non posso ripetere, guardi. Allora, lei deve comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell'onorevole. Aldo Moro in via Caetani. Via Caetani. Lì c'è una Renault 4 rossa. I primi numeri dì targa sono N5."
La cronaca di quest'ultima parte è stata ridotta all'osso. Volutamente. Perché non c'è niente di più intimo ,sconvolgente, che immaginare la morte di un uomo, in solitudine, colpevole soltanto essere diventato una pedina di un gioco crudele. La morte di Moro, come dicevo all'inizio, rappresenterà comunque una sconfitta, per le Brigate rosse.
Artefici di una rivoluzione senza popolo, fatta contro di esso. Perché appartenevano al popolo le 5 vittime di via Fani, anche se erano identificati come servi del potere. Così come la morte di Moro, uomo del dialogo, precursore di un nuovo sistema politico, fautore di una democrazia più completa, diventerà la Caporetto delle BR. La geometrica potenza di fuoco, la capacità di tenere in scacco l'apparato di polizia dello stato, l'alone di invincibilità, svaniranno ben presto allorché lo stato metterà tutte le sue capacità investigative in campo. Uno per uno i brigatisti carnefici di Moro e della sua scorta verranno catturati e processati. Ma non cesseranno gli interrogativi sulle molte stranezze, sui depistaggi e anche molte domande sull'effettivo svolgimento della storia raccontata. Che ancora oggi presenta molte zone d'ombra, nonostante siano passati 26 anni dall'epoca dei fatti narrati. Ma l'Italia, si sa,è da sempre maestra in storie misteriose e torbide.









Il Maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi (Capo Scorta), l’Appuntato dei Carabinieri Domenico Ricci, il Vicebrigadiere di P.S. Domenico Zizzi, la Guardia di P.S. Raffaele Iozzino, la Guardia di P.S. Giulio Rivera, tutti barbaramente trucidati dalle Brigate Rosse in Via Mario Fani il 16 marzo 1978



Immagini da Via Fani dopo l’eccidio





La lapide di Via Mario Fani


L'On. Aldo Moro ostaggio dei terroristi



Il ritrovamento del corpo dell’Onorevole Aldo Moro in Via Caetani il 9 maggio 1978




Dal sito digilander.libero.it


Cronologia aggiornata dei giorni del sequestro Moro

 

16 Marzo 1978

 

 

 

Ore 9,11 all’angolo tra Via Mario Fani e via Stresa a Roma quartiere Trionfale un coomando composto di almeno 10 terroristi (coloro la cui presenza è stata accertata sono, in ordine alfabetico: Algranari, Balzarani, Bonisoli, Casimiri, Fiore, Gallinari, Lojacono, Moretti, Morucci, e Seghetti) assale Aldo Moro e i suoi 5 uomini della scorta (il capo scorta Oreste Leonardi e gli agenti Iozzino, Ricci, Rivera e Zizzi). Nella sparatoria tutti gli uomini della scorta sono uccisi, mentre Aldo Moro rimane illeso, Nessuno dei terroristi rimane ferito. Il Presidente della DC , viene prelevato dalla sua auto, una 130 Fiat blu e portato a bordo di un auto.

Il governo( quel giorno si presentava alle camere per ottenere la fiducia) proclama subito quella che verrà chiamata in seguito-la linea della fermezza, nessuna trattativa con i terroristi.

Le Brigate Rosse rivendicano telefonicamente l’eccidio  di via Fani ed il rapimento del presidente della DC Aldo Moro.

17 Marzo 1978

 

Angoscioso silenzio delle bierre, Roma è sconvolta, migliaia di poliziotti setacciano le strade e abitazioni sospette

18 Marzo 1978

 

Viene fatto ritrovare il comunicato n°1 delle bierre (sarà il primo di 9) in esso viene annunciato l’inizio del processo a carico dell’ostaggio. Intanto nel quadro delle massicce perquisizioni della polizia un gruppo di agenti bussa alla porta di un appartamento di Via Gradoli a Roma , nella zona della Cassia, nessuno risponde e gli agenti vanno via senza farvi ingresso. Un mese dopo si scoprirà che quell’appartamento era un covo delle bierre, abitato in quel periodo dalla Balzarani e Moretti (riconosciuti dai testimoni nei mesi successivi).

19-20 Marzo 1978

Continuano in massa le perlustrazioni dei quartieri romani senza nessun risultato, Roma è blindata centinaia di posti blocco su tutte le strade in uscita da Roma, si fermano tutte, o quasi le auto in circolazione.

21 Marzo 1978

Vengono emanati provvedimenti in funzione antiterrorismo molto rigidi.

25 Marzo 1978

Il comunicato n°2 ribadisce in parte il n°1 e si dilunga su considerazioni del sistema politico Italiano e sul capitalismo internazionale. Nessun cenno sulle condizioni di salute di Aldo Moro

29 Marzo 1978

Le bierre diffondono contemporaneamente il comunicato n°3 e tre lettere di Moro (una alla moglie Eleonora, una per il collaboratore Rana ed una per il Ministro degli Interni Cossiga). Nel corso del sequestro Moro scriverà numerose missive, in seguito si scoprirà che non tutte pervennero  ai rispettivi destinatari.

4 Aprile 1978

In parlamento dibattito sul sequestro Moro, viene ribadita la linea della fermezza, no a nessuna trattativa con le bierre, che nel frattempo emettono il loro 4° comunicato che stavolta è abbinato ad una lettera indirizzata da Moro al segretario della DC Zaccagnini

6 Aprile 1978

Tra le attività degli inquirenti ha luogo una perlustrazione che darà risultato negativo nel comune di Gradoli in provincia di Viterbo, In seguito si saprà che l’operazione era stata originata da una segnalazione del prof Romano Prodi, il quale riferì di essere stato colpito dalle dichiarazioni emerse in occasione di una seduta spiritica effettuata il 2 Aprile, insieme ad amici, presso la casa di campagna del prof Alberto Clò.

10 Aprile 1978

Comunicato n° 5 delle bierre, unito ad un brano del- memoriale- di Aldo Moro, nel quale l’ostaggio muoveva aspre critiche contro il sen Paolo Emilio Taviani.

11 Aprile 1978

Dibattito aspro sui giornali tra i fautori della fermezza (DC –PCI-PRI) e i Socialisti di Craxi e i Radicali di Pannella

15 Aprile 1978

Comunicato n° 6. Con esso, i sequestratori informano che il processo è finito, e che l’imputato è stato condannato a morte dal tribunale del popolo.

18 Aprile 1978

In mattinata una dispersione di acqua provoca l’intervento dei Vigili del fuoco nell’appartamento di via Gradoli 89, che si rivela essere un covo delle bierre, e base operativa ancora”calda”. Nelle stesse ore un comunicato recante il n° 7da notizia che Moro è stato ucciso e il suo cadavere gettato nelle acque del lago della Duchessa nelle vicinanze di Rieti. L’autenticità del comunicato appare incerta, comunque viene fatta una accurata ispezione presso il lago dando esiti negativi, Viene accertato che il testo del comunicato è falso. L’identità dell’autore del comunicato falso rimarrà sconosciuta sino al 1984. Era stato Antonio Chiachiarelli, un falsario di quadri, ciò emergerà grazie alla perquisizione eseguita nella sua abitazione dopo che egli era stato ucciso il 28 Settembre dello stesso anno.

20 Aprile 1978

Le bierre emettono il vero comunicato n° 7, disconoscendo il falso del 18 scorso. Con questo messaggio autentico le bierre avanzano una proposta di scambio: la libertà di Moro, in cambio di quella per i detenuti che essi chiamano prigionieri politici comunisti. Le bierre  presentano la loro richiesta di ultimatum destinato a scadere dopo 48 ore

21 Aprile 1978

Il PSI si distacca in maniera più netta dalla linea della fermezza invocando la necessità di un’iniziativa per salvare Aldo Moro

22 Aprile 1978

Papa Paolo VI  lancia pubblicamente un appello agli”uomini” delle Brigate Rosse, invitandoli a lasciare libero Moro senza condizioni. Anche l’ONU nella persona del suo segretario chiede il rilascio dell’ostaggio in nome dell’umanità

24 Aprile 1978

Comunicato n°8 Il testo ripropone il tema dello scambio tra Moro e i cosiddetti  prigionieri politici comunisti, ammonendo la classe politica a non illudersi di”eludere il problema con ambigui comunicati e sporche dilatorie manovre”, pena interpretazione di eventuali tentativi del genere alla stregua di un rifiuto.

30 Aprile 1978

Prima telefonata delle bierre alla famiglia Moro, Moretti  è l’esecutore, nella telefonata si fa presente che soltanto un intervento”immediato e chiarificatore” del vertice della DC potrebbe scongiurare l’imminente esecuzione del prigioniero.

2 Maggio 1978

Dura contrapposizione tra i Socialisti e la DC. Si invoca da più parti la trattativa con le bierre, si capisce che Aldo Moro ha le ore contate. Il PCI con Berlinguer ribadisce la necessità di non cedere al” vile ricatto” niente trattativa con gli assassini.

5 Maggio 1978

Comunicato n°9 caratterizzato dalla frase”concludiamo la battaglia iniziata il 16 Marzo eseguendo la condanna”L’uso del gerundio induce molti a pensare che un cambiamento della situazione sia ancora possibile.

6 Maggio 1978

Il vice seg del PSI Signorile, contatta il pres del Senato Fanfani, affinché egli mandi un segnale di apertura alla trattativa, Fanfani incarica in sua vece il sen Bartolomei, esponente della propria corrente di partito. Tuttavia, i discorsi (preelettorali) pronunciati il giorno seguente da Bartolomei, ed il giorno 8 dallo stesso Fanfani, non presentarono alcuna apprezzabile novità.

9 Maggio 1978

Con una telefonata eseguita da Morucci al prof Tritto- collaboratore di Moro- effettuata poco dopo  mezzogiorno, le Brigate Rosse rendono noto di aver ucciso lo statista, e di averne abbandonato il cadavere all’interno di una Renault rossa parcheggiata in via Michelangelo Caetani, strada del centro di Roma ubicata a pochi metri dalla sede del PCI  e della DC.





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L'eccidio di Via Mario Fani